Ogni lavoratore sa quanto sia importante, per la sua performance, il suo luogo di lavoro: ma che succede quando esso diventa una “gabbia dorata”? C’è davvero la possibilità che accada? Quali sono le principali dinamiche che si creano nel rapporto tra un ambiente e chi vi lavora? WOW!, attraverso la voce di Gabriele Masi, ha risposto alle domande di Sodexo.
1)Gabriele, secondo lei il luogo in cui un lavoratore si trova a svolgere la sua attività ha davvero il potere di influenzarne la qualità della vita e la produttività? L’uomo è costituito principalmente dai rapporti che costruisce; coi suoi simili, ma anche con l’ambiente che lo circonda: interagendo con esso, infatti, riceve stimoli e feedback “silenziosi”. Proprio a causa della loro “silenziosità”, dunque, gli impulsi ricevuti dall’ecosistema sono ancora più persuasivi e pervasivi.
Una conseguenza naturale di ciò è dunque quella che vede le aziende preoccuparsi di più, rispetto al passato, dell’ambiente in cui operano i propri dipendenti: complice di questo “cambiamento di prospettiva” è anche la maggiore frequenza di sfide che questi ultimi devono affrontare. È dunque essenziale salvaguardarne il rendimento con tutti i mezzi, affidandosi al paradigma “benessere= produttività”. Questa preoccupazione si riflette perciò in una nuova attenzione al design dell’ufficio e degli ambienti di lavoro: elementi attraverso cui l’azienda cerca di “educare” il proprio lavoratore sono, ad esempio, i sempre più diffusi menù sani nei ristoranti aziendali, scrivanie adattabili, postazioni che incoraggiano al movimento…
2) Dove si trova il confine tra un welfare aziendale innovativo ed efficiente e il rischio di creare una “gabbia dorata”?
Le scienze sociali e della formazione ci insegnano che ogni pratica porta con sé un’idea di uomo e di società: di essa è necessario essere consapevoli per mantenere un certo grado di “libertà di azione”. Perciò, se da una parte la fabbrica del famoso film “Tempi moderni” con Charlie Chaplin era alienante, d’altro canto lo era anche il Paese dei Balocchi di Collodi.
Paradossalmente, proprio in un’epoca storica in cui in molti casi si potrebbe fare a meno dell’ufficio, si sta costituendo un’immagine di esso sempre più seducente e sempre più influente sulla costruzione di un’identità aziendale, accompagnata da una struttura sempre più ibrida (se la vediamo in ottica positiva), o totalizzante (se la vediamo in ottica un po’ più critica): diventano frequenti perciò gli uffici muniti di ristorante, centro benessere, ecc.
Una conseguenza di questo che salta subito all’occhio, però, è la lenta erosione dei confini tra lavoro e vita privata, con concetti come l’home office, il co-living e lo smart working; e l’affascinante quanto inquietante conseguenza, io credo, è che più sottile diventa la capacità dell’azienda di indirizzare (positivo) o plasmare (critico) la vita dell’individuo, più questo limite si può spingere.
Insomma, se da una parte nozioni come, ad esempio, la felicità in ufficio, sono molto interessanti e positivi, d’altro canto la disneylandizzazione dei luoghi di lavoro ha, come tutte le cose, il proverbiale secondo lato della medaglia.
3) Ha citato lo smart working: vede in modo positivo la crescita di questo fenomeno?
Lo smart working possiede sicuramente aspetti positivi. Sto rispondendo a queste domande, ad esempio, utilizzando il wi-fi di una biblioteca di un piccolo paese, da un pullman, e dalla casa di una zia che aveva bisogno di una mano per alcuni lavori. Lo si può fare, e lo abbiamo fatto, anche da una piscina!
WOW! Ha un’organizzazione molto agile: tutto ciò è possibile in un contesto dove ognuno è responsabilizzato nella gestione del lavoro in una sana routine organizzativa, in un clima di squadra consolidata e di fiducia.
Certo è che questa modalità di organizzazione del lavoro richiede un’educazione e una concezione del lavoro e della vita lavorativa di ogni individuo diversa da quella a cui siamo abituati finora. Tra i fini di queste qualità vi è sicuramente anche quello di non farsi fagocitare e il saper sfruttare al meglio questa grande opportunità. Nonostante in questo processo ci siano dei problemi di assestamento, come è normale in ogni momento di passaggio, a mio avviso i vantaggi sono sicuramente maggiori degli svantaggi, soprattutto in ottica di un maggiore work-life balance.
4) Secondo la sua esperienza, cosa vuol dire ascoltare i bisogni dei dipendenti al lavoro?
A mio avviso, non esistono ricette precostituite: il punto di partenza sta sempre in un datore di lavoro disponibile ad imparare e ad incominciare un processo di rinnovamento: ciò può accadere grazie a domande la cui risposta non è mai data come definitiva, ma anzi ne richiedono sempre di nuove, come ad esempio““Cosa serve davvero alla mia azienda?”,“Che cosa vogliono i miei lavoratori?”. Ciò è ancora più vero nello spazio di lavoro contemporaneo, dove flessibilità e multifunzionalità sono parole chiave.
Ovviamente poi il dialogo non deve essere solo “interno” alla persona del datore di lavoro, ma deve coinvolgere dipendenti, management e responsabili HR, con l’ausilio di una figura professionale specializzata e attenta a valorizzare le particolarità del contesto.
La fiducia è la caratteristica irrinunciabile di qualunque processo aziendale di successo, ma la fonte della fiducia è sempre il dialogo.
Testo di Chiara Musco
Link all’intervista integrale.