Forse sono snob o legata a una visione borghese e superata dell’interior design, ma francamente trovo di cattivo gusto la maggior parte degli uffici “coolest” o “trendy” o “best” che girano nei social media.
Capita spesso di ricevere da varie parti del mondo classifiche che soprattutto gli anglosassoni amano stilare, per esempio una ricevuta di recente indica i coolest workplaces di Singapore.
Non mi permetto di criticare la visione di Google che davvero ha cambiato il modo di concepire ambienti e stili di lavoro, ma mi domando: è proprio necessario usare un tuk-tuk o una finta funivia come meeting room o un’amaca come poltrona o cassette della verdura come librerie per creare un’ufficio originale e innovativo?
Siamo da sempre promotori dei concetti di informalità come possibile strada per uscire dall’omologazione dell’ufficio, di domesticità per renderlo più accogliente, di gioco per renderlo più vivace… ma rischia di essere riduttivo, oltre che kitsch, pensare di garantire la qualità di vita nell’ambiente di lavoro solo con un biliardino o con un’improbabile workstation a forma di capanna floreale ispirata dal gioco del Monopoli (credetemi: succede a Dubai!) o il camino acceso -elettrico- con la poltrona bergère della nonna o la scrivania stile Flintstone nella caverna.
Comincio a trovare molto banali questi eccessi, questo fastidioso rumore formale degli uffici coolest a tutti i costi.
Questi stilemi, al bivio tra trasgressione e entertainment, sono stati i punti di rottura del workplace 2.0 introdotti dalla nuova visione estetica generata dalle imprese start up (e una chiara reazione al minimalismo e all’esasperazione funzionale), ma dal design del workplace 3.0 ci aspettiamo qualcosa di più equilibrato, meno chiassoso.
Innovativo, certo, ma su aspetti più concreti e strutturali, capace di tradurre nell’ambiente fisico le trasformazioni organizzative e le identità delle aziende più agili, in grado di rispondere con prodotti adeguati alle modalità dello smart working; va bene anche qualche pezzo vintage che personalizza lo spazio (il gong no, quello è inaccettabile!)ma un po’ di senso della misura non guasterebbe.
Probabilmente sono condizionata dalle mie radici culturali orgogliosamente italiane e mediterranee, ma dal workplace 3.0 mi aspetto maggiore armonia. Meno cool e più bellezza.
Editoriale di Renata Sias, direttore WOW! Webmagazine.
Foto: ST File (Google); officesnapshots.com (Flintstone Office)