Cosa aspettarci da questa imminente Milano Design Week 2016? Oltre ai 1500 espositori al Salone del Mobile e ai consueti 2000 eventi in città con conseguente stanchezza?
Momento di trionfo per Milano, capitale mondiale del Design grazie anche alla felice coincidenza e sinergia con la XXI Triennale. Ma non illudiamoci che questa kermesse offrirà davvero solo “buon design” …
Le aspettative sono alte e spero, saremo più rigorosi nella selezione di ciò che merita la nostra attenzione e le nostre energie.
Dovremo essere severi, anche perché sarà spietato il confronto tra il livello culturale della Triennale e i troppi eventi che sotto la bandiera della Creatività nascondono paccottiglia, oggetti di cui nessuno sente la mancanza e che probabilmente mai nessuno comprerà.
“Il Design che non c’è” è il titolo di una bella e propositiva iniziativa di ADI che invita a fotografare e pubblicare la confusione e bruttezza causata dalla mancanza di un progetto. Lo scopo non è solo la denuncia del brutto, ma l’identificazione di situazioni che possono essere risolte con un buon progetto; a questo scopo sarà indetto un concorso affinché professionisti e studenti propongano le proprie soluzioni.
Propongo di fare qualcosa di simile anche per la confusione e la bruttezza che talvolta può essere causata invece da un progetto o da carenza di idee.
Il rischio è in agguato anche per brand iconici e insospettabili.
Per esempio penso a una buona azienda, Segis, e un ottimo designer, Bartoli, che insieme generano un divano-iceberg che nemmeno Libeskind avrebbe potuto partorire.
Altro esempio, sempre in tema divani, è l’azienda Prospettive che definisce “semplice e anticonvenzionale” il suo divano composto da letterone imbottite che compongono la parola book per “celebrare il valore della parola ed esaltare il potere della scrittura”. Perché mi sento presa in giro?
A mio parere questo non è Made in Italy, non è cultura del progetto. Ma sarà il Mercato a dare il suo giudizio.
Ci sono cose che noi umani, amanti del Design, non avremmo mai voluto vedere!
Editoriale di Renata Sias