È una domanda che sorge spontanea: perché lavorare e vivere a contatto con la natura ci fa stare meglio? Ma forse la domanda da porsi è diversa: perché ci eravamo dimenticati che la natura ci rende felici? “Deviare dalla natura è deviare dalla felicità” scriveva Samuel Johnson. Ora è il momento di scoprire ciò che già sapevamo.
Oggi che l’intelligenza artificiale sta progredendo a grandi falcate, mostrando potenzialità pressoché illimitate, ci si è semplicemente riaccorti, quasi per contrasto, del nostro essere corpo biologico, deperibile e condizionabile, per cui l’habitat costituisce una dimensione fondamentale.
Eppure il fatto che la natura ci facesse stare meglio lo abbiamo sempre saputo, e non serve arrivare a riprodurre una foresta tropicale di 40mila specie come nel nuovo HQ di Amazon a Seattle.
Come i giapponesi “bagni di foresta” (shinrin yoku) rigeneranti tra i cipressi, diverse ricerche sul rapporto mente-corpo-ambiente hanno portato anche qui la consapevolezza di come emozioni positive e attitudini positive affiorino attraverso micro-esperienze immersive o di contatto con la natura, anche simulate attraverso la tecnologia, di 5-20 minuti.
La teoria della biofilia definita da Wilson come “l’innata affinità umana per la natura” è oggi supportata da diversi studi soprattutto negli ambiti cognitivi, psicologici e fisiologici, che testimoniano come a livello pisco-fisico la presenza di un ambiente naturale porti a dei vantaggi notevoli per la salute del nostro corpo e della nostra mente: dalla maggiore tranquillità accompagnata dalla diminuzione della pressione sanguigna e attività del sistema nervoso simpatico, all’impatto positivo sull’aspetto emozionale, sull’attenzione e sulla creatività.
Una prima ragione, dunque, all’apparenza abbastanza banale, è semplicemente che lavorare e vivere a contatto con la natura ci fa stare meglio perché rispetta ciò che siamo naturalmente, biologicamente e psicologicamente.
Una natura su misura.
“Deviare dalla natura è deviare dalla felicità” scriveva il poeta Samuel Johnson e oggi questo sembra il motto della “Economia della biofilia” che sta rivoluzionando il design dei luoghi di lavoro e delle nostre città.
Se è vero che esiste un certo grado di universalità per quanto riguarda la questa innata affinità, le preferenze ambientali possono essere influenzate da differenze culturali, esperienze personali, fattori socio-economici, o anche dall’età e dal sesso (ad esempio diversi studi hanno dimostrato il maggiore impatto di un ambiente naturale sui giovani e sugli uomini rispetto alle donne). Culture e gruppi utilizzano e conferiscono significati all’ambiente che li circondano in modo spesso molto diverso, in base alle loro esigenze e ai loro scopi.
La società dell’economia della biofilia non è da meno: utilizza una natura progettata per creare benessere e felicità.
Dai giardini pensili di Babilonia ai giardini verticali degli HQ moderni, abbiamo imparato a addomesticare la natura (che cos’è il design se non “addomesticare lo spazio”?), attenuandone le caratteristiche di rischio e pericolosità, ispirandoci ad essa per le nostre organizzazioni e riportandola nei nostri spazi antropizzati.
Oggi la biofilia che troviamo negli spazi urbani e negli uffici è frutto di una natura “costruita”, a volte “simulata” (come nel caso di Habitat Soundscaping di Plantronics o delle pavimentazioni tessili di Interface per indoor e outdoor che traggono ispirazione dalla natura), che si accosta, come parte viva, alla maggiore artificialità dei nostri ambienti sempre più tecnologici e virtuali, come un ancoraggio alla realtà dei nostri sensi e del nostro corpo.
Non bisogna dimenticarsi che un design biofilico è un approccio complesso che non si limita a portare e a utilizzare nell’ambiente elementi naturali (piante, acqua, luce, aria), o simulare attraverso forme, materiali e sensazioni uno spazio naturale, ma significa un design che richiama la capacità della natura di essere dinamica, flessibile, organica, e di cambiare costantemente.
Ed è proprio questa plasticità, questa possibilità di un adattamento bidirezionale tra individuo e ambiente che ci permette di sviluppare quel senso di riconoscimento che trasforma l’ambiente da ostile a fonte di benessere.
Perché lavorare a contatto con la natura ci fa stare meglio? Perchè abbiamo imparato a cucirla su misura in base a ciò che abbiamo imparato essere, a sublimarla, a disegnarla e progettarla, limitandone l’imprevedibilità e il rischio, e mantenendo al contempo il più possibile gli aspetti a noi più utili alla nostra mente e ai nostri sensi.
Testo di Gabriele Masi.