Il tema dell’ambiente di lavoro è particolarmente sentito negli ultimi tempi, anche sui media non specializzati e tra non professionisti del settore. L’hashtag @Linkedin #thisiswhereIwork invita a twittare idee e foto; lo stesso ha fatto anche Il Sole24Ore insieme a doppiozero.com imitando la proposta lanciata già alcuni anni fa da Wired in era pre-twitter.
La Repubblica quasi ogni giorno pubblica articoli dedicati ai nuovi workstyle e anche gli scrittori scrivono di ufficio sulle pagine delle riviste di attualità; per esempio Peppe Fiore su IoDonna dà questa bellissima definizione: “lo spazio di lavoro è un magnifico territorio di scambio di energie tra individui della identica specie”. Roberto Cotroneo su 7 sostiene che “la comunicazione empatica e la rivoluzione dei rapporti personali dei social network, dopo avere cambiato i propri luoghi virtuali e privati, cambierà luoghi reali e pubblici .. e.. nessuno vorrà più vivere parte del proprio tempo dentro strutture anonime”. Sul Sole24Ore della domenica da alcune settimane compare la serie Scrivanie d’autore della fotografa Giovanna Silva, tavoli da lavoro abitati da oggetti personali e ritratti come nature morte.
Ma il luogo di lavoro non è una natura morta, non è statico né inerte. L’ufficio di oggi è diffuso e virtuale, che non vuol dire solo lo spazio digitale di internet, iPad e iPhone, ma significa compatibile con Ways Of Working diversi.
L’ufficio è fatto di “sfere” che ci circondano, si muovono con noi e all’interno delle quali ci relazioniamo con oggetti o persone: la visione della Bubble di E.T. Hall, sviluppata nella mostra Workspheres curata da Paola Antonelli al MoMA di NY nel 2001. Il workspace è fatto di “spazi” che devono essere riconfigurati in linea con gli obiettivi delle aziende e con le esigenze delle persone che sono cambiati e stanno cambiando.
Ma forse “Il luogo di lavoro è uno spazio diffuso e l’ufficio che rimane come base, come snodo oppure come nodo di una rete è diventato uno spazio che attraversiamo. – come ha sostenuto Marco Sammicheli in occasione del convegno Assufficio Smart and Happy Working- Non è più una sacca, una tasca, una bolla, ma una galleria, un ”mac-drive” dove ricaricare device, verificare passaggi, fare il punto, consumare un pezzo dell’esperienza, coniugare in gruppo un’azione”.
In questo ufficio-mac-drive che significato assume la tradizionale scrivania? Mi piacerebbe conoscere opinioni ed esperienze su questo argomento.
PS: ho mandato alcuni twitter a Linkedin, solo come esempio, perché i miei #thisiswhereIwork sono davvero tanti; aspetto con ansia quello della bella stagione: il terrazzo che affaccia sulla baia di Moneglia…
Editoriale interattivo di Renata Sias
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