Work in Progress: sondaggio su giovani e lavoro.

I risultati emersi dal sondaggio del Centro di ricerche sociali sul lavoro e le nuove forme di occupazione dimostrano che i giovani italiani sono flessibili e disposti al cambiamento anche se l’Italia è ancora indietro a livello politico e culturale.

Il sondaggio, costruito attraverso la raccolta di dati con metodo cawi (computer-assisted web interviewing), ha coinvolto 800 giovani tra i 18 e i 35 anni, per il 66% con una laurea di secondo livello, ed è stato realizzato in collaborazione con FondItalia, Fondo Paritetico per la Formazione Continua e seguito dai media partners Labitalia, agenzia giornalistica dedicata al mondo del lavoro del Gruppo AdnKronos www.labitalia.com e Walk on Job, magazine di attualità, università e mondo del lavoro www.walkonjob.it.

Compromessi e rinunce per un lavoro

Ma davvero i giovani sono così incontentabili? L’indagine dell’Osservatorio Work in Progress ci restituisce una fotografia diversa dove i giovani italiani si dimostrano molto più flessibili, infatti, il 64% sarebbe propenso ad andare a vivere lontano, mentre il 25,3% sarebbe disposto anche ad essere sottopagato, ma un 25% sottolinea come il lavoro è un diritto e quindi non dovrebbero esistere compromessi legati alla forma di contratto o alla retribuzione; tuttavia, il 12% sarebbe disposto ad accettare il non rispetto del contratto o l’abuso di un contratto atipico e il 2% sarebbe disposto a mettere da parte anche la sua integrità morale.

Dalla ricerca emerge, inoltre, un interesse per i giovani italiani verso l’estero, il 37% ha inviato un curriculum a delle aziende estere, tra le mete più ambite Francia, Svizzera e Inghilterra. “Forse – ha spiegato l’Avvocato Tommaso Dilonardo, fondatore e Presidente di Work in Progress – ad essere poco flessibile è la stessa Politica incapace di interpretare i tempi e perciò di promulgare leggi efficaci, chiusa in un dibattito ideologico distante dalle reali esigenze lavorative dei giovani. La Riforma Fornero, che per il 57,6% degli intervistati ha peggiorato la situazione, ha aumentato i costi per le imprese ed il precariato per i lavoratori, quando l’unica soluzione sarebbe stata quella ridurre fortemente il costo del lavoro per i nuovi assunti non precari”. “Nonostante abbia accettato di essere sottopagata, che i miei contratti non siano stati rispettati, abbia messo da parte la mia integrità morale – ci racconta un utente –  in Italia non ho comunque trovato lavoro, quindi sono andata a vivere decisamente lontano da casa e dall’Italia”. E ai colloqui? Come va? Il 55% degli intervistati afferma di aver risposto a domande che riguardavano la sfera privata, prima fra tutte sei sposato/a? Convivi? Vivi con i tuoi genitori? Hai figli o hai intenzione di averne a breve? Mi parli dei componenti della sua famiglia, che lavoro fanno i tuoi genitori? “Sono domande, rivolte soprattutto al genere femminile, che nascondono un pregiudizio sulla effettiva capacità da parte delle donne di svolgere un ruolo di primo piano nella società – ha commentato Dilonardo –  il nostro questionario rivela che al 43,2% è stato chiesto se è sposato o convive; al 20,4% se ha figli o ha intenzione di averne a breve; a molti, infine, è stato chiesto anche il background dei loro genitori, insomma passa il tempo ma la società italiana cambia poco, sono domande che evidenziano un ritardo prima di tutto culturale, manca ancora, purtroppo, il concetto di merito, in un Paese dove l’ascensore sociale è sempre più immobile”.  “Il sondaggio mette in evidenza alcuni aspetti di cui noi di Walk on Job abbiamo spesso sentore e che abbiamo analizzato in diverse inchieste. In particolare, precisa il direttore di Walk on Job, Cristina Maccarrone – ci stupisce (in negativo) che durante i colloqui si facciano certe domande sulla vita privata che non sono realmente finalizzate all’assunzione, violando la legge sulla privacy, oltre a continuare a discriminare le donne chiedendo loro se vogliono avere una famiglia – a breve o in futuro – (che parliamo a fare di tasso di natalità  basso se poi non le agevoliamo?) non mi sarei aspettata domande sul lavoro dei genitori o sulle persone con cui si vive, il che dimostra che il mondo del lavoro ha ancora molte cose da sistemare”.

Cosa pensano i giovani della Formazione

Anche in questo ambito i giovani dimostrano di avere le idee chiare su ciò che non funziona e sui cambiamenti che andrebbero prodotti, infatti, dall’indagine emerge come, per il 73% dei giovani la Scuola e l’Università dovrebbero prevedere dei corsi o delle iniziative volte a favorire l’incontro dei giovani con il mercato del lavoro; tuttavia i master specializzati non sono stati determinanti per trovare lavoro per il 31% degli intervistati. Sempre secondo i dati Work in Progress, il 34% non si è ma iscritto ad un corso di formazione perché crede che le aziende per prime dovrebbero provvedere a preoccuparsi della formazione delle risorse, inoltre, per il 31,6% i costi dei corsi sono proibitivi. “La scuola dovrebbe fornire gli strumenti per il lavoro, non solo teoria o corsi dai nomi altisonanti.- si legge fra i commenti – Ad esempio, impariamo a parlare l’inglese, a leggere il giornale, a usare Excel”.

Come i giovani cercano lavoro

I giovani per cercare lavoro si affidano a internet per il 71%, al secondo posto i siti aziendali, seguono con il 25% i social network, tra questi il più utilizzato è LinkedIn, ma i metodi più tradizionali continuano ad avere un ruolo determinante: si rivolgono agli sportelli del lavoro o agenzie interinali il 32,4% degli intervistati, mentre il 24,3% preferisce consultare gli annunci sul giornale. “Che il primo mezzo per cercare lavoro sia Internet è un dato interessante, ma se immaginiamo che, invece di doversi districare nel mare magnum di internet, i giovani potessero godere delle potenzialità della rete gestita con la competenza e la sicurezza che potrebbe dare un servizio fornito dai centri per l’impiego, i giovani, e anche gli over 50 (dimenticati ma pure esistenti e anch’essi in difficoltà), potrebbero cogliere quelle opportunità (anche scarse, complicate, poco remunerate) che invece ora, nell’assenza della pubblica amministrazione, è più difficile e “pericoloso” trovare. Dico pericoloso perché un conto sarebbe una banca dati internazionale gestita dai centri per l’impiego, altro conto è internet, tout court” ha concluso Dilonardo.