
Benessere e salute mentale e fisica, maggiore interazione, riduzione dello stress, corretta alimentazione, spirito di appartenenza: sono queste oggi le declinazioni della felicità in ufficio. È il design degli spazi e degli arredi il protagonista di questo nuovo trend, volto a creare un ambiente più creativo e produttivo, in un approccio multidisciplinare che intercetta istanze diverse dalle neuroscienze alla botanica, dall’IoT agli ambienti intelligenti, dall’ergonomia all’ingegneria energetica. Può, dunque, uno spazio creare la felicità?
Definire cos’è la felicità è un gioco intellettuale abbastanza complicato. Secondo un professionista del settore come Alexander Kjerulf la felicità nell’ambiente di lavoro dipende da due fattori: sentirsi i migliori in quello che si fa e le relazioni che stabiliamo con le persone del nostro team. Secondo altri, la felicità è legata al numero e all’intensità delle emozioni positive che si sperimentano.
Entrambe queste idee di felicità, e sono solo due delle decine in circolazione, hanno cambiato l’ambiente ufficio, concentrandosi sulla percezione dell’appartenenza all’azienda, vedi l’uso colore, aumentando l’attenzione verso gli spazi informali, favorendo la mobilità e ways of working più dinamici.
Da luogo severo e stressante, l’immagine dell’ambiente di lavoro è cambiata. Sotto la spinta dei modelli provenienti dalla Silicon Valley e dal Nord Europa, dell’esigenze delle nuove generazioni, delle nuove scoperte tecnologiche e scientifiche che pervadono la società a tutti i livelli, dalla necessità di rivaleggiare con ambienti che permettono di lavorare anche a distanza (e che quindi rendono quasi obsolete le grandi metrature e la necessità di un controllo costante), oggi l’ufficio è cambiato e con lui anche la vita, che non si divide più in tempo di lavoro e tempo libero, ma in un tempo più fluido e dai confini meno definiti. Se lo smartworking, infatti, ha portato l’ufficio a casa, a lavoro sono entrati i divani, gli onnipresenti calcio-balilla, le visite mediche di controllo, i lettini terapeutici, le aree relax, i ristoranti, i campi da gioco, e il mondo in generale, come dimostrano le nuove architetture aperte alla cittadinanza. Dal co-working si è passati al co-living.
Il concetto di aumentare la produttività resta però il paradigma cardine, e consci del fatto che le emozioni dei dipendenti hanno una reale incidenza sui proventi aziendali, la chiave per raggiungere questo obiettivo è il benessere della risorsa umana.
È qui che entra in gioco il design a tutti i suoi livelli, chiamato a sommare diverse esperienze di benessere come metodo di raggiungimento di una felicità produttiva, dalle sedute e scrivanie ergonomiche, alle piante, dalla possibilità di riconfigurare gli spazi secondo le proprie esigenze, di creare un ambiente luminoso e salubre, dove poter fare una pausa divertendosi, rilassandosi, facendo sport, gustandosi un buon pranzo.
Un design ibrido che si è dovuto adattare all’ibridazione dello spazio e della società e che oggi, mettendo insieme istanze scientifiche, ingegneristiche e tecnologiche, è il grande demiurgo del benessere in ufficio, punto di partenza essenziale per ogni progetto.
L’equazione benessere = felicità può funzionare?
In tutta questa operazione c’è un rischio, che vorrei qui esporre in maniera anche esagerata. Il rischio è quello di concentrarsi paradossalmente troppo sul corpo e sull’individuo, scordandosi che la felicità è anche un fattore sociale. Oggi, sentendo che lo spazio ufficio ha perso la sua unicità e giustificata centralità, si rischia di creare una bellissima gabbia d’oro, maggiormente causa di assuefazione da lavoro, polo di attrazione e controllo che sfrutta scariche continue di dopamina: detto in parole povere, l’ufficio rischia di inglobare totalmente l’individuo.
La felicità è un concetto più ampio è un fatto di work-life balance e soprattutto un fatto culturale e sociale: per quanto le basi neurologiche possano essere simili, ogni cultura ha il proprio modo di raggiungerla. Dunque soluzioni standardizzate che declinano un’idea astratta di felicità non sono la soluzione migliore, ma ogni soluzione deve essere calata nel contesto. Dall’altra parte legare sempre più la felicità al luogo di lavoro è un’operazione non priva di alcune implicazioni sociali e culturali.
Certo qui non si vuole assolutamente mettere in dubbio che le innovazioni che saranno presentate dal prossimo Salone Ufficio 2017 (tra cui spicca l’installazione intitolata Work 3.0 – A Joyful Sense at Work), non costituiscano delle grandi opportunità e che rimpiangiamo l’ufficio grigio a compartimenti stagni del cartellino dalle 8:30 alle 17:30. Ma, visto il grande fascino della parola felicità, si vuole lanciare una piccola provocazione o spunto di riflessione: un ufficio incentrato sull’uomo sarà la causa di un nuovo uomo centrato sull’ufficio?
Editoriale di Gabriele Masi, antropologo giornalista.