Quando si approcciano nuovi scenari il rischio di ripetere modelli conosciuti e di creare nuovi stereotipi è sempre in agguato. Talvolta capita anche nell’applicare nuove modalità smart working e work-life balance o nel progettare nuovi ambienti di vita-lavoro, a discapito della carica di reale e profondo cambiamento, anche culturale, e dei vantaggi che queste trasformazioni potrebbero portare.
Così l’idea di “lavoro agile” può essere banalizzata in un poco stimolante “telelavoro da casa”, i concetti di gioco e entertainment in ambito lavorativo si traducono in onnipresenti biliardini, kitchenette e break area negli uffici, la formula collaborazione= innovazione si riduce a innumerevoli spazi di incontro informale, all’esigenza di benessere si risponde con una palestra aziendale, al desiderio di vivere a contatto con la natura con un muro vegetale.
Non dico che queste soluzioni siano sbagliate, però non sono le uniche possibili e non possono essere le soluzioni perfette da applicare in modo indifferenziato in realtà, spazi, aziende con esigenze, identità e obiettivi diversi; altrimenti perdono la loro carica evolutiva e di vitalità trasformandosi in una falsa immagine che non rispecchia l’azienda e nemmeno le persone che ci lavorano.
Studio O+A, intervistato nell’articolo principale di WOW! #15, invita ad adottare una mentalità da start-up, ovvero quella che “porta ad analizzare costantemente le condizioni esistenti, i protocolli e le procedure noti e a interrogarsi”.
Se ognuno di noi provasse a interrogarsi -aziende, progettisti, ma anche workers e istituzioni, insieme in un lavoro di squadra e di coinvolgimento reciproco- forse si potrebbe andare oltre i luoghi comuni e scoprire altre opportunità e “terzi luoghi” inesplorati.
La tecnologia smart ha reso possibile il lavoro agile, ma questo non significa solo isolamento e lavoro individuale (a casa, in treno, in aereo o sulla panchina) fuori dal luogo di lavoro deputato, al contrario il cambiamento più vero e strutturale inizia proprio nell’ufficio che modifica il suo ruolo da semplice “contenitore di lavoratori” a luogo stimolante dove identificarsi, capace di incoraggiare le creatività individuale e la condivisione di conoscenze.
Anche la Collaborazione, parola chiave intorno alla quale si è strutturato il management degli ultimi anni, merita un’analisi più critica, soprattutto per quanto concerne la convinzione che la collaborazione sia alla base dell’innovazione. Recenti studi dimostrano che la vera innovazione, quella che guarda lontano, è un’attività mentale individuale che ha bisogno di concentrazione. A questo proposito ho trovato molto interessante l’articolo “Beyond Collaboration: workplaces that innovate” di Brady Mick che analizza i concetti di collaborazione e innovazione e invita a progettare workspace strutturati in “activity settings” con una varietà e complessità di ambientazioni che permettano al lavoratore di scegliere quella più adatta al tipo di attività che deve svolgere. Il vero nemico dell’innovazione è la paura della complessità.
Editoriale interattivo di Renata Sias, direttore di WOW!