Ci sarà pure un motivo se Harvard Business Review dedica la copertina e un intero dossier al perché le persone odiano i propri uffici. Allora è vero, li odiamo! …e se li odiamo non stiamo bene, non siamo felici, lavoriamo male, calano le performance e siamo meno produttivi; è lapalissiano. Quindi la problematica interessa tutti. Questo odio latente non va negato né sottovalutato.
Qualche anno ho saputo da fonte attendibile che negli uffici italiani di una nota multinazionale – tra le prime ad avere introdotto i famigerati open space- alcuni dipendenti, non potendo sopprimere il direttore, spostavano la propria aggressività sulle rigogliose piante, disposte tra le scrivanie per abbellire e “umanizzare” l’open space. In barba alla biofilia, il lato “umano” che risvegliavano gli arbusti non era purtroppo quello più gentile. Non ci crederete: qualcuno versava premeditatamente pipì nei vasi per uccidere le piante!
Non voglio negare l’utilità delle piante, anzi abbiamo dedicato un articolo ai provati vantaggi; le piante servono così come tanti altri elementi umanizzanti e stimolanti (aree di incontro informali, ricreazione e relax, opere d’arte, colori e materiali vivaci, layout vari e dinamici con elementi stimolanti visivamente e percettivamente, ecc) ma solo se inserite in una visione più equilibrata del workplace.
L’open space resta la formula progettuale prevalente non solo perché permette di ottimizzare lo spazio, ma anche perché favorisce l’interazione diretta -la più importante- la collaborazione, la condivisione e il senso di appartenenza all’impresa. Tutti elementi che influiscono direttamente sulla produttività, come confermano alcune aziende che hanno misurato questi dati.
Il punto allora è trovare l’equilibrio tra “noi” e “io”, come spiega HBR; rivedere il nostro concetto di privacy come fattore indispensabile per affrontare la complessità del lavoro multitasking. Una privacy che non riguarda solo lo spazio fisico, ma “la capacità individuale di controllare informazioni e stimoli”.
Insomma, la Trasparenza, che sembrava essere la migliore traduzione spaziale del concetto di democrazia, abbattimento della gerarchia, stimolo alla collaborazione, in realtà può rivelarsi una “trappola” perché , come spiega HBR, “può far sentire i dipendenti vulnerabili ed esposti. Quando succede, finiscono col nascondere i comportamenti che deviano dalla norma in modo da non doverli spiegare. In circostanze sperimentali non predisposte si arriva anche a uno stop”… o uccidere le piante, o diventare aggressivi con altri esseri “viventi”, aggiungerei!
L’equilibrio tra “noi” e “io” è la chiave per garantire benessere ai dipendenti e produttività all’azienda.
Gli spunti progettuali per interior design che derivano da queste osservazioni, sono numerosi; la prima e più evidente è l’assoluta necessità di integrare negli uffici a spazi aperti frequenti zone di privacy, differenziate in base ai vari livelli di riservatezza che devono rispettare, dal phone booth individuale alla meeting room per piccoli gruppi, dal touch down temporaneo alla sala per lo yoga. Il progetto spaziale deve aumentare la sua complessità, prevedere piccoli uffici e “rifugi” all’interno dell’ufficio.
Il workplace deve rivalutare la Solitudine che, come diceva Seneca, “E’ per lo spirito ciò che il cibo è per il corpo”, ma anche perché “E’ soprattutto nella solitudine che si sente il vantaggio di vivere con qualcuno che sappia pensare” (Jean Jacques Rousseau).
Editoriale interattivo di Renata Sias, direttore di WOW! Webmagazine.