Per noi l’emergenza corona virus è iniziata a metà gennaio, prima delle vacanze del capodanno cinese, racconta Massimo Roj, CEO e Founder di Progetto CMR, società di progettazione integrata che ha sedi in diversi Paesi asiatici (Cina, Vietnam, Taiwan).
Dal punto di vista organizzativo non è stato problematico perché già cinque anni fa è partito il processo di cambiamento della struttura informatica con l’utilizzo di cloud e server esclusivi.
Questo è stato un grande vantaggio, abbiamo solo dovuto raddoppiare le 100 postazioni che già erano in remoto.
Come facciamo abitualmente anche nei periodi di vacanze, reciprocamente i lavori vengono portati avanti da chi non è in ferie.
Quando è iniziato il lockdown in Italia sono ripartite le attività in Cina, dove si lavora su 3 turni per evitare affollamenti nei posti di lavoro: questa è un’ipotesi per la riapertura da adottare anche in Italia.
Per quanto riguarda l’analisi sul nostro studio, abbiamo verificato un aumento notevole dell’efficienza, 13%, nelle prime 2 settimane.
Non solo dovuto alla dilatazione dei tempi di lavoro e all’eliminazione dei tempi di trasporto; credo che tutti abbiano cercato di dare il massimo e dimostrato un altissimo grado di responsabilizzazione, anche perché da molti anni noi lavoriamo su obiettivi.
All’inizio ci sono state tantissime riunioni per pianificare l’attività poi si è raggiunto un maggiore equilibrio con meno riunioni inventandoci anche iniziative sui social per sentirci vicini e coinvolti.
Mentre ci accorgiamo della mancanza del contatto fisico ci rendiamo conto che ci stiamo avvicinando di più, anche con i clienti c’è una maggiore sensibilità a condividere questo momento difficile. Forse questo potrà aiutarci a ricreare uno spirito sociale e più qualità nei rapporti.
I cambiamenti che stiamo vivendo influenzeranno anche il progetto. Dovremo vivere due momenti:
il primo sarà il rientro graduale, come è stato in Cina, con regole rigide sul contenimento della socialità, sulla distanza sociale e sui dispositivi di sicurezza (che almeno da 10 anni usano abitualmente in Asia) con controllo della temperatura all’ingresso che forse saranno implementate nei da noi nei grandi building (in Cina addirittura usano la tessera sanitaria come badge di ingresso in ufficio).Si dovranno mettere a frutto gli investimenti e l’esperienza di remote working fatti in emergenza con un’implementazione dello smart working “vero”, continuando lavorare da casa, ma anche da altre location.
Dopo questa prima fase, che potrebbe durare 2 anni, potremo tornare alle abitudini precedenti, ma con la memoria di questa esperienza.
Ipotizzo una sofferenza maggiore per le attività sociali, sport spettacolo, ospedali, rispetto all’ufficio dove, anche nei casi estremi dei call center, i turni si potrebbero dilatare su sabato domenica per ridurre la presenza fisica.
Continueremo però ad andare in ufficio: siamo animali sociali, diceva Aristotele.
Dovremo però condividere lo spazio ufficio con maggiore accortezza e abitudini diverse all’incontro; si viaggerà meno e avremo più riunioni virtuali, per ridurre sia costi che inquinamento. Questo cambiamento creerà problemi al mondo dei trasporti e dell’ospitalità.
Dovranno diventare sempre più flessibili non solo gli uffici, ma anche tutte le altre tipologie abitative. Per esempio abbiamo capito che è necessario predisporre per situazione di emergenza -non solo sanitaria-anche alberghi.
Questo porterà a un cambiamento nella gestione del territorio (anche se manca legge nazionale dal 1948) servirà maggiore flessibilità nelle procedure e poi dovremo usare la nostra fantasia per rendere le città più vivibili e confortevoli.
Gli edifici sono come esseri viventi perchè le persone che li abitano li rendono vivi. E la città è fatta da edifici e anche piazze, parchi, luoghi pubblici esterni che permettano alle persone di incontrarsi.
Infine credo che i cambiamenti generati da questa complessità di problematiche porterà a un maggiore un rispetto dell’ambiente e a fermare lo sviluppo sfrenato dell’urbanizzazione.