
Non è facile trovare una “young” designer con tanta esperienza e un così alto numero di collaborazioni per aziende prestigiose e marchi internazionali.
Per la rubrica “Ways of Designing”, WOW! incontra Federica Biasi, classe 1989, che con il suo approccio coerente e le sue linee pulite, morbide e dettagliate ha conquistato brand come cc-tapis, Coin Casa, Lema, Gallotti&Radice, Fratelli Guzzini, Manerba, Mingardo, Nason Moretti, Potocco, Nespresso, Fest Amsterdam, Imetec, Pode.
Le sue esperienze sono iniziate molto presto quando, dopo essersi diplomata all’European Institute of Design di Milano, si trasferisce ad Amsterdam.
Lì si allena a individuare trend emergenti e si avvicina al design nordico con la sua estetica fatta di forme semplici.

Come ci spiega, non ha avuto un unico Maestro che abbia lasciato un segno forte nella sua formazione, a volte l’ispirazione può venire da storie artigianali, da film o fotografie oppure dai viaggi e dalla natura .
Il lavoro manuale e la tradizione l’hanno spesso portata a trovare dettagli e soluzioni innovative, quasi impercettibili all’utente finale. E di questa capacità di “nascondere” la funzionalità in un design gentile va giustamente fiera.
Anche se mai se ne attribuisce da sola il merito perchè è una sostenitrice del lavoro di squadra e ritiene che i progetti prendano vita da una comunione di idee con il proprio team, con le aziende e con i fornitori.
Achille Castiglioni ha detto “Bisognerebbe progettare partendo da quello che non si deve fare”. Secondo te, che cosa NON dovrebbe essere fatto quando si progetta?
Non si deve assolutamente tralasciare di prendere in considerazione le persone, il fruitore finale; penso sia scorretto pensare solo allo stile del prodotto, mettendo in secondo piano il fatto che questo prodotto deve poi essere utilizzato.

Un esempio di questo approccio è la collezione di tazzine Lume che abbiamo recentemente progettato per Nespresso: tutti gli aspetti legati al suo utilizzo pur nascosti nell’estetica, sono fortemente presenti.
In tutti i prodotti cerco di nascondere all’interno del dettaglio “il segreto”, l’utilizzo, senza esporlo anche se sempre è pensato. Questo è un aspetto bello del mestiere di designer, non si deve fare uscire per forza tutto ciò che è nascosto.

Ci sono contaminazioni culturali ed elementi comuni tra i diversi settori nei quali progetti?
Mi piace molto lavorare su scale diverse dall’accessorio, al complemento di arredo, agli interni. Non si tratta di una questione di scala, quanto di applicare un determinato approccio al progetto, valido per qualsiasi prodotto e ogni volta è una nuova sfida.
Quali elementi caratterizzano il tuo approccio al design?
Oltre al mettere le persone al centro, c’è sempre una parte forte di ricerca su quello che è stato, che c’è e che sarà, includendo anche un’analisi sociale. Ma, non meno importante è l’azienda per la quale si progetta: in fondo il design cambia anche in base a quello, e i prodotti migliori nascono quando c’è una buona sinergia con il committente.

Che impatto hanno sulla progettazione del prodotto i nuovi stili di vita e di lavoro?
La pandemia ha imposto grossi cambiamenti, ma un designer deve sapere anticipare i nuovi stili di vita e di lavoro.
Per esempio il sistema di divani Kokoro per Manerba è stato pensato prima del covid, perchè già si percepiva la necessità di isolarsi che le persone provano nei grandi spazi.
Adesso che il distanziamento è diventato un’esigenza sociale ci rendiamo conto che non necessariamente serve un prodotto ad hoc.
Per esempio, come barriere per il distanziamento si rivelano perfetti gli schermi che erano utilizzati per acustica.
Quali evoluzioni e scenari ti aspetti per l’ufficio e i ways of working nel prossimo futuro?
Immagino un futuro che verrà contaminato molto di più e molto più velocemente da qualcosa che non avevamo preso in considerazione, come il lavorare da casa.
Una realtà che altri Paesi avevano già sperimentato prima di noi.
Però credo e spero che non si debba più tornare a lavorare come prima. Esplicativo è claim che abbiamo creato con Manerba per la Milano Design Week 2021: “wherever you feel”: ognuno deve poter lavorare dove si sente meglio.
Perchè dobbiamo obbligare le persone a lavorare in un luogo preciso? C’è chi preferisce lavorare al bar o a casa, in poltrona ma anche alla scrivania (io, per esempio, mi sento a mio agio lavorando alla scrivania).

Il furniture per il lavoro deve venire incontro a queste esigenze e fornire tutto quello che serve per permettere alle persone di lavorare dovunque si sentano comode.
Dobbiamo riuscire a gestire non lo spazio, ma il prodotto all’interno della moltitudine di spazi possibili per lavorare.
In futuro credo che il workspace non sarà più uno spazio, sarà il prodotto stesso a diventare uno spazio di lavoro.
