
La struttura di WOW! webmagazine prevede una redazione nomadica, (si riunisce ogni mese in un luogo diverso) fluida e jelly (composta non da giornalisti, ma da un gruppo ristretto e variabile di progettisti, manager, ricercatori e altri attori coinvolti nel processo progettuale e gestionale del workplace).
Jelly è anche la struttura della session che può accogliere il tema lanciato da Renata Sias, direttore di WOW!, o divagare sul tema oppure rifiutarlo per proporre altri argomenti e stimoli.
Vuoi partecipare alla prossima WOW! Jelly Session (9 gennaio 2013) e condividere il tuo punto di vista sui temi proposti?
Erano presenti alla WOW! Jelly Session #1 che si è svolta presso Kinnarps House Milano:
Michele De Lucchi, Giulio Ceppi, Paola Silva Coronel, Gilberto Dondè (presidente GPTW), Alessandro Zollo (AD GPTW), Luigi Marchetti (Managing Director Creation Bauman), Daniele Andriolo (Facility manager Siemens), Maximilian Speciani (web designer), Marco Siciliano (studente polimi), Mara Rosola (studente polimi), Luca Sansottera (studente polimi), Margherita Turchi (studente polimi), Nunzia Ricciardi (Country Manager Kinnarps Italia), Renata Sias (direttore WOW!)
Il tema lanciato per la discussione, riferito al trend emerso in modo evidente all’ultima edizione di Orgatec, è stato:
La nuova tendenza nell’organizzazione dello spazio ufficio propone alcove, cocoon, “bolle” personali e in genere una rivalutazione del lavoro individuale e della privacy -anche acustica- rispetto al teamwork, agli spazi aperti, alle postazioni di lavoro condivise. Un ritorno al cubicle?
Proponiamo una sintesi delle riflessioni emerse nel corso dell’incontro informale, rilassante e stimolante che rispecchiava perfettamente l’identità di WOW!
L’architetto Michele De Lucchi apre la discussione raccontando il lavoro svolto in qualità di docente con gli studenti della Facoltà di Disegno Industriale del Politecnico di Milano.
“Il tema “capanni da ufficio” è emerso in modo spontaneo analizzando il significato di ufficio oggi. È vero che l’ufficio può essere ovunque ci sia un wi-fi, ma le aziende continueranno ad avere bisogno di un luogo fisico dove attrarre le persone e non è vero che l’ufficio è un tema standardizzato sul quale non ci sia più niente da dire.
Abbiamo riflettuto sulla necessità delle singole persone o dei singoli gruppi di identificarsi in un elemento architettonico. Abbiamo lavorato su un ufficio senza esterno, una grande scatola simile a uno spazio urbano vuoto dove costruire edifici; l’esercitazione è stata costruire piccole architetture in scala concepite per un individuo o per un piccolo gruppo.
La cosa più interessante è stata vedere tutti i progetti insieme perché non è importante tanto il singolo oggetto o sistema di oggetti, ma l’ambiente complessivo che si crea, il percorso.
Percorrere questa ideale città-ufficio circondati da un grande “ambiente urbano interno” dà la chiara consapevolezza che anche nell’ufficio reale è più importante il percorso che dal marciapiede porta al proprio posto di lavoro che non il posto di lavoro stesso”.
Dall’ufficio come ambiente urbano si passa ad altre destabilizzanti metafore proposte dall’architetto Giulio Ceppi.
“La sensazione di fronte all’ufficio e alla comunicazione digitale è quella di un’immagine liquida, fluida. Serve solo avere lo strumento e le condizioni per fruirla, se ho accesso alla rete – o alla nuvola, metafora affascinante- posso raggiungere i miei dati e attivare il sistema di relazioni che mi serve.
I progetti degli studenti di Michele De Lucchi mi hanno ispirato un’analogia: è come se dalla struttura ecclesiastica rigida si fosse tornati a una sorta di entusiastico panteismo. Intendo dire che nell’ufficio liquido non servono più cattedrali ma piccole edicole, o forse anche inginocchiatoi… perché non è detto che le persone abbiano in alcuni momenti anche la necessità di discomfort…
Il tema della “personal bubble” mi porta a un’altra riflessione: in realtà ognuno di noi ha tante “bolle” e si gioca la bolla giusta al momento giusto, la bolla cambia a seconda delle situazioni e delle azioni che ognuno compie nella sua vita e nel corso della giornata.
La configurazione dell’ambiente di lavoro sembra svilupparsi su due poli estremi: la “bolla ufficio” (identificata con l’ufficio open space tradizionale) e la “bolla casa” (una romantica alcova) nella realtà si sono però venuti a creare altri poli. L’auto per esempio è diventata un nuovo polo, si dovrebbe cominciare a parlare di car-working. Io ormai telefono quasi esclusivamente nella mia auto con il cruscotto coperto di post-it e promemoria. Lavorando sempre in team con i miei collaboratori, mi serve la “bolla auto”, un cocoon su quattro ruote, per riflettere e telefonare.
Poi c’è un altro polo sul quale sto lavorando per il progetto di un nuovo Autogrill, chiamiamolo “bolla parking”; a chi non è mai successo di fare una deprimente riunione sul cofano dell’auto in un parcheggio dell’autostrada? Per questo grande hub che è l’autostrada ho pensato a piccole salette ufficio all’interno degli Autogrill.
Poi c’è un’altra “bolla ufficio temporaneo” che ho applicato in un coworking a Buenos Aires, un ambiente dotato di spazi aperti, salette riunioni, cucina, ecc.
Ma c’è anche la “bolla incontri virtuali”: qualche tempo fa avevo progettato per il distretto dei produttori del ferro una fiera virtuale, un padiglione virtuale ecocompatibile galleggiante sul lago, visitata da avatar, non come alternativa alla fiera reale, ma come potenziatore (per documentarsi, fissare appuntamenti, per creare network), una “bolla per fare business” con altre persone e supportare l’esperienza fisica. Ho notato con piacere che anche nel settore arredo è stata fatta recentemente una proposta analoga di fiera virtuale.
Daniele Andriolo, facility manager in Siemens Italia, porta l’esperienza concreta di come, partendo dalle multinazionali, si stiano sperimentando nuovi modelli di lavoro.
“Per la prima volta gli stili di vita stanno entrando in ufficio e modificando gli stili di lavoro; l’aspetto più importante e vero cambiamento del paradigma delle attività lavorative è che, ispirata dai modelli di social network, la comunicazione è diventata collaborazione; il lavoro per mansioni è praticamente scomparso, esistono progetti e ognuno ha il proprio livello di responsabilità.
Dal punto di vista spaziale le aziende stanno passando dal concetto relativamente nuovo, ma già superato, di open-space con postazioni bench multiple a un più nuovo modello ibrido che abbandona il concetto di territorialità a favore di aree delimitate di collaborazione per piccoli gruppi e sale teleconferenza per riunioni con sedi remote; si crea però un nuovo bisogno spazi per la concentrazione individuale.
Di solito chi sente la necessità di concentrarsi si sposta con il PC in aree lounge un po’ appartate oppure lavora da casa.
Credo che in un prossimo futuro sparirà completamente l’open space e ci muoveremo sempre più leggeri, quando tutto sarà in cloud ci basterà muoverci con un tablet.
In Siemens è stato sviluppato un nuovo modello organizzativo che applichiamo nelle nuove sedi e che viene personalizzato a seconda delle attività con un lavoro in team che prevede la presenza di gruppi di dipendenti che si fanno portavoce delle diverse esigenze. In alcune sedi abbiamo potuto quasi dimezzare la superficie degli uffici senza nulla togliere alla qualità ambientale dei dipendenti. Nelle sedi esistenti i dipendenti possono fare richiesta di aderire al nuovo modello (questa soluzione risolve molti problemi dal punto di vista burocratico) e la ristrutturazione organizzativa e spaziale si attua solo se c’è massa critica per il cambiamento.
Ora stiamo attuando un social network interno, una specie di facebook per i dipendenti, che diventi il nuovo ambiente di collaborazione e comunicazione superando gli schemi e l’inadeguatezza di altri strumenti – per esempio le email- quando si deve comunicare tra più persone in tempo reale.
È indispensabile però che questi modelli siano condivisi; va dimostrato che nella realtà la “propria” scrivania è utilizzata solo poche ore alla settimana e che può essere un vantaggio non dover chiedere un permesso per il colloquio con il professore del figlio. Nel nuovo modello spaziale – con le dovute “deroghe” applicate ad attività particolari come ricerca e sviluppo, o ufficio amministrazione o legale, legati ancora a molta carta per obblighi di legge – sono eliminate le scrivanie e l’archivio personali, oltre alle meeting room abbiamo adottato silent area per la concentrazione non individuale dove possono entrare più persone, ma senza telefono e senza parlare; ci sono aree lounge, ma quello di cui si sente ancora la mancanza e dovrà essere implementato in quantità superiore all’attuale è proprio il cocoon, la bolla per la concentrazione individuale”.
Nunzia Ricciardi, country manager di Kinnarps Italia, conferma che questo modello è anche quello adottato da Kinnarps per la ricerca e lo sviluppo dei nuovi prodotti.
“Va superata l’idea della “mia scrivania”, il mio spazio è la mia attività di lavoro in quel momento particolare; può essere il divano o il tavolino nell’area break o il piano touch-down. I prodotti non vengono più catalogati per tipologia ma contestualizzati per macro-attività: collaborazione, concentrazione, rigenerazione. Per un cambiamento reale del concetto di ufficio è indispensabile uscire dall’idea di personalizzazione della scrivania”.
Gilberto Dondè, presidente di Great Place to Work Italia, si fa portavoce delle esigenze dei dipendenti che regolarmente incontra e intervista per stilare la classifica dei migliori posti dove lavorare in Italia.
“Sebbene interessanti, i progetti di cui si è parlato hanno il rischio di essere imposti con una logica top-down. Io penso all’ufficio come a un ambiente pensato per i “cittadini” dell’impresa, il cittadino/collaboratore/dipendente è il soggetto.
Talvolta questi modelli vengono progettati senza pensare a chi li utilizzerà. Non condividere con i soggetti i modelli prima dell’attuazione rischia di far naufragare qualsiasi progetto. Paradossalmente capita che anche in caso di ristrutturazione non vengano coinvolte le persone che sarebbero favorevoli al cambiamento (in questo caso la frase tipica del post ristrutturazione per giustificare l’insoddisfazione è: se me l’avessero chiesto prima glielo avrei detto!). Non solo nell’organizzazione dello spazio, ma anche nei processi operativi vanno presi in considerazione e analizzati insieme tutti i bisogni, questo può rendere consapevoli i dipendenti di alcuni difetti o malfunzionamenti ai quali erano abituati e non avevano mai fatto caso e soprattutto il coinvolgimento può portare contributi importanti e stimolanti”.
Alessandro Zollo, AD di Great Place to Work Italia, mette in luce un altro aspetto non secondario.
“Stiamo ragionando come se tutte le aziende fossero uguali, ma non è così. L’organizzazione aziendale e spaziale comunica l’identità dell’azienda; ci sono ancora aziende con struttura gerarchica dove tutto quello che abbiamo detto fino ad ora non è applicabile e non potrebbe nemmeno funzionare. Non è pensabile poter trasferire la politica aziendale di Google in un’azienda padronale del centro Italia. Prima di elaborare modelli è indispensabile analizzare e capire che tipo di azienda ci troviamo di fronte”.
Luigi Marchetti, managing director Creation Baumann, torna al tema iniziale del cocoon per sottolineare come l’acustica sia importante in ufficio e in ogni ambiente collettivo, non solo per il comfort ambientale, ma anche per circoscrivere bolle individuali di privacy”.
L’architetto Paola Silva Coronel solleva un’esigenza tipica del mondo del lavoro oggi, indipendentemente dal tipo di azienda nella quale di lavora.
“Oggi il problema è che nessuno ha più un solo “capo”, i dipendenti –forse per la necessità di aumentare le proprie entrate- oltre al “lavoro” dedicato alla propria famiglia, anche professionalmente svolgono sempre più spesso più di un lavoro, magari sotto forma di hobby redditizio. Quello che manca all’ufficio è essere multi-tasking come lo sono i suoi abitanti. Per esempio penso a un ufficio dove si possa lavorare part time, ma che permetta di rimanere anche dopo l’orario per poter svolgere le altre attività personali e che predisponga servizi (baby sitting o svolgimento di commissioni personali) per poter svolgere al meglio tutte le attività dei dipendenti anche quelle esterne all’azienda”.
L’incontro prosegue con divertenti aneddoti vissuti sul campo a testimonianza della difficoltà di cambiare la mentalità delle persone rispetto ai modelli tradizionali. Il cambiamento può generare insicurezza nell’essere umano, nonostante i tentativi di condividere in anticipo i concetti organizzativi e progettuali.
Si racconta per esempio di dipendenti al front office che, avendo sempre lavorato in piedi perché seduti sulla sedia non avrebbero potuto interfacciarsi con il pubblico davanti allo sportello e assuefatti a quella condizione di discomfort, rifiutavano di utilizzare gli sgabelli che sarebbero stati più comodi.
Oppure della dipendente di un ufficio postale assolutamente contraria all’eliminazione dei verti antiproiettile che separano dal pubblico, non perché considerati una barriera di sicurezza contro eventuali rapine, ma una barriera di difesa contro virus e batteri degli utenti al bancone.
Sembra quasi surreale infine il racconto della reazione di fronte a una scelta aziendale spiegata, motivata, condivisa, politicamente corretta e cost-saving: nonostante si fossero dimostrati i vantaggi di piacevoli centri di raccolta differenziata per rifiuti distribuiti all’interno degli uffici operativi che sostituissero i tradizionali cestini gettacarte personali a ogni singola scrivania, alcuni dipendenti decisero per “protesta” di lasciare sotto la scrivania il proprio piccolo mucchietto indifferenziato di rifiuti nel punto dove fino al giorno prima si trovava il cestino gettacarte.
“Non può più esistere la ricerca di una soluzione valida, dobbiamo prevedere tante soluzioni – conclude Michele De Lucchi- fino a poco tempo fa l’ufficio si traduceva in una indifferenziata scrivania alta 72 cm, oggi abbiamo capito che ci sono tante altre mezze misure che prima non erano prese in considerazione. Continuare a pensare con una mentalità chiusa rispetto a tutte le opzioni di scelta disponibili è una forma di ricatto. Adesso il problema è scegliere come poter cambiare. E questa è certamente una grande conquista per l’uomo e per la società”.
A cura di Renata Sias
Vuoi comunicare aneddoti che esprimano la difficoltà di accettare il cambiamento nell’organizzazione aziendale e spaziale?