Sempre più spesso si sente parlare di Digital Workplace (DWP), ma cosa si intende esattamente con questa espressione? E come si progetta un Digital Workplace?
La traduzione letteraria, “luogo di lavoro digitale”, ci aiuta poco a catturarne il concetto.
Adriano Solidoro, docente di Information Systems for Knowledge Management all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, spiega di cosa stiamo parlando quando parliamo di Digital Workplace in una serie di articoli scritti per WOW! Webmagazine dove sintetizza i criteri, le caratteristiche, le visioni e gli obiettivi strategici indispensabili per progettare un DWP efficace.
La prima definizione di Digital Workplace ha cercato di darla Jeff Bier nei primi anni ‘90 (fondatore di Edge AI & Vision Alliance, partnership industriale che comprende oltre 50 aziende tecnologiche leader) con l’intento di fornire agli ingegneri hardware e software il know-how pratico di cui hanno bisogno per integrare efficacemente la tecnologia di visione integrata nei loro progetti.
Jeff Bier ha delineato cinque criteri base del DWP:
1) favorisce l’apprendimento e l’utilizzo di nuovi strumenti tecnologici;
2) è “contagioso”, ovvero favorisce il coinvolgimento delle persone delle diverse funzioni organizzative;
3) è al di sopra delle barriere geografiche perché grazie alla tecnologia permette di lavorare da ogni luogo;
4) è integrato e completo: ogni comunicazione, dato e informazione deve essere raccolta, distribuita e accessibile;
5) è connesso e diffuso a tutte le persone dell’azienda.
Martin White identifica cinque criteri relativi all’impatto sull’organizzazione:
Successivamente, andando oltre alla mera dimensione tecnologia, Martin White (amministratore delegato di Intranet Focus Ltd., consulente di strategia di ricerca e gestione delle informazioni aziendali), nell’articolo del 2010 Digital workplaces: Vision and reality suggerisce altri cinque criteri per definire il DWP:
1) deve essere in grado di adattarsi ai continui cambiamenti nelle organizzazioni;
2) deve fornire soluzioni conformi alle leggi e alle regolamentazioni, quindi nel rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente;
3) favorisce la creatività offrendo un ambiente e modi alternativi per lavorare e stimolare l’innovazione;
4) deve essere predittivo, cogliendo in anticipo le esigenze delle persone e delle organizzazioni.
5) Non può essere definito sulla base di ciò che è, ma piuttosto di quello che consente di fare: completare un’attività, condividere informazioni e lavorare come parte di una team in maniera totalmente indipendente dal luogo in cui si trovano le persone.
Jellify “phygital” HQ design di Workitect.
Jane McConnell definisce il DWP come ecosistema di piattaforme e servizi aziendali:
Un’altra definizione è quella di Jane McConnell, analista franco-statunitense. In seguito alla raccolta di dati provenienti da numerosi studi e analisi in tutto il mondo, nel report del 2017, The Organization in the Digital Age, delinea un framework che evidenzia il DWP come ecosistema di piattaforme e servizi aziendali che permettono alle persone di lavorare, collaborare, comunicare, sviluppare servizi e prodotti per servire al meglio i clienti, facilitando creatività e innovatività, l’attrazione di talenti e il consolidamento dell’Employer Branding.
Il Foundational Framework di Jane McConnell illustra l’intersezione di persone, spazi di lavoro e tecnologia nel Digital Workplace, in cui anche la cultura organizzativa, le pratiche, le prassi e i comportamenti devono essere analizzate se si vuole operare per un Workplace Design efficace.
Due dimensioni fondamentali del DWP: la connessione tra persone e la “leadership reattiva”.
Con approccio simile, Kristine Dery e Ina M. Sebastian del MIT Sloan Center for Information Systems Research con Nick van der Meulen dell’università di Amsterdam, nell’articolo del 2017, The Digital Workplace Is Key to Digital Innovation, presentano il DWP come l’insieme delle disposizioni fisiche, culturali e digitali che facilitano le attività all’interno dell’ambiente di lavoro complesso, dinamico e spesso non strutturato.
La loro definizione sottolinea due dimensioni fondamentali del DWP: la connessione tra persone e la “leadership reattiva”.
La prima dimensione consiste nel grado di interazione che le persone posso avere fra loro, con i clienti, con fornitori e partner, con le informazioni, le conoscenze e le idee.
Il focus è dunque sulla comunicazione digitale e fisica, da incoraggiare e facilitare tramite tre fattori:
1) il fattore tecnologico (che consiste nell’introduzione delle ultime soluzioni tecnologiche);
2) il fattore sociale (la cultura della collaborazione e della condivisione);
3) il fattore spaziale (disegnando spazi fisici aperti, flessibili e basati sulle attività, con lo scopo di supportare la collaborazione e creare nuove connessioni interpersonali).
Ey Wavespace in Milan, design di DEGW.
Mentre, la seconda dimensione si riferisce alla misura in cui il management dà priorità alle attività che si focalizzano sullo sviluppo e sul miglioramento continuo dell’Employee Experience; aspetto che include la creazione nuove policy e norme comportamentali di cui la leadership deve farsi promotrice: la leadership organizzativa assume su di sé il ruolo di sostenere l’utilizzo di nuove tecnologie e di innovativi approcci al lavoro grazie a meccanismi di apprendimento sistemico e continuativo, per mezzo di data driven e evidence based management e una comunicazione che renda proficuo il collegamento tra gli obiettivi strategici e il Workplace Design.
Il prossimo articolo sarà dedicato alla visione del DWP di Paul Miller, caratterizzata dalla preponderanza della cultura organizzativa.
Testo di Adriano Solidoro
(docente di Information Systems for Knowledge Management, all’Università degli Studi di Milano-Bicocca )
Ey Wavespace in Milan, design di DEGW.
Foto in apertura: Minority Report di Steven Spielberg.