
Agli architetti piace parlare di spazi human centered, ma la nuova irriverente mostra di Elmgreen & Dragset ci invita a riflettere su una realtà opposta: in questa fase post industriale e post pandemica il corpo umano, la nostra stessa esistenza fisica sembra diventare un elemento inutile.
La percezione del corpo e la relazione tra il corpo e l’ambiente sono i temi chiave di “Useless Bodies?” alla Fondazione Prada di Milano fino al 22 agosto 2022.
Luoghi alienanti, asettici, acromatici e abbandonati -un ufficio, una spa, una piscina, un appartamento- vuotati dalla presenza umana; atmosfere inquietanti dove il corpo umano si palesa solo come elemento importuno, imperfetto, in bilico o senza vita.
Quel punto interrogativo nel titolo “Useless Bodies?” lascia però qualche spiraglio di speranza…
Occupa ben tre edifici e parte del cortile della Fondazione Prada a Milano questa mostra da non perdere dove le installazioni site-specific del duo danese-norvegese ancora una volta provocano emozioni forti (come dimenticare la piscina con il cadavere del collezionista alla Biennale di Venezia del 2009 o “l’incidente “ con la roulotte che sfonda il pavimento della Galleria Vittorio Emanuele di Milano nel 2003?).
L’installazione al piano terra del Podium sembra quasi l’ouverture di quest’opera dedicata allo status del corpo; riesuma tracce della mostra Serial Classic di Koolhas del 2015 per creare un contrappunto tra i corpi perfetti delle statue classiche e quelli “imperfetti” del nostro quotidiano, per esempio un uomo bolso sulla sedia a rotelle o una donna incinta.
Questa costellazione di corpi ci chiede anche di riflettere su quali e quanti elementi possono cambiare la nostra percezione dello spazio. Come si relaziona con l’esterno chi osserva il mondo attraverso una maschera per la realtà virtuale o attraverso un vetro? Chi guarda il mondo da un punto di osservazione alto o nascosto in un camino per cercare protezione?
Ma è soprattutto quell’angosciante ufficio open space – duplice citazione tra Jacques Tati e Orson Welles- fatto di grigi cubicle ripetuti all’infinito che ci riporta a uno dei temi caldi di questo momento. Ci fa attraversare gli uffici che il lock down ha reso deserti e che anche dopo la pandemia in pochi vogliono tornare a frequentare.
Nella totale spersonalizzazione di questo workplace, in questa disumanizzazione che più elegantemente viene definita “Clean Desk Policy” sono quasi commuoventi i piccoli segni che ogni corpo ha lasciato testimoniando tracce di vita, di desideri, di sogni.
Anche in queso caso si tratta di segni imperfetti: macchie di caffè o carte di caramelle accartocciate, un libro ( non a caso intitolato “Oltre l’Ordine”), piccola cancelleria allineata in modo ossessivo, una cartolina, ma anche una piantina miserella, finalmente un segno di vita. “L’assenza di figure pesa quanto la loro presenza”, dichiarano gli autori.
La stessa desolazione connota anche le ambientazioni nel cortile che alterano il nostro immaginario (una borsa da pic nic dimenticata, uno sportello bancomat integrato in un brandello di muro di Berlino, panchine riservate agli omosessuali, l’auto con due corpi maschili abbracciati).
Il percorso prosegue all’interno della cisterna dove si passa da una piscina fatiscente a una spa squallida dove un corpo flaccido è in attesa su un lettino da massaggi; da uno spogliatoio sgangherato che ci invita a curiosare tra gli oggetti banali
che si intravvedono dalle porte aperte degli armadietti fino al corpo del funambolo che ha perso il suo equilibrio e resta pericolosamente in bilico nel vuoto.
Dagli spazi pubblici si passa al privato nell’edifico nord allestito come un appartamento dal design ultra minimalista, l’unica presenza in movimento è quella di un cane bionico; una casa inospitale e fredda che arriva a integrare un obitorio nel living room.
Attraverso questi scenari che generano turbamento, la mostra vuole farci riflettere sull’inutilità dei nostri corpi e anche “stimolare un dibattito sulle conseguenze di questo riposizionamento che si ripercuote su ogni aspetto delle nostre vite”, dal modo in cui si lavora a quelli in cui si comunica, fino ai rapporti interpersonali.
Testo e foto di Renata Sias