Il bench desk è morto, non c’è alcun dubbio. Si sente la necessità di scrivere un necrologio, come si fa per le persone che abbiamo apprezzato. Ma si sente soprattutto la necessità di trovare soluzioni più adatte ai nuovi modi di lavorare. E’ quello che il mercato chiede: scrivanie “mobili” e personalizzabili, insieme a una gamma sempre più ampia di proposte per le aree in-between. Quando il lavoro è agile, lo deve essere anche il design e le proposte più nuove nascono guardando all’universo degli “spazi terzi”, come è emerso all’ultima Orgatec.
Nel 2002 fu accolta con vero entusiasmo Joyn, la geniale proposta di Vitra (molto imitata): una scrivania multipostazione che, come raccontavano i fratelli Bouroullec ideatori di questo nuovo concetto, era ispirata dal ricordo fanciullesco delle loro gioiose tavolate nella campagna francese dove in estate la grande famiglia si riuniva per pranzare insieme.
Immagine affascinante e coinvolgente che ha avuto grande successo per oltre dieci anni, probabilmente non grazie alla bucolica evocazione dei Bouroullec, quanto all’innegabile risparmio in termini di spazio, di struttura e quindi economico.
Tutte le grandi aziende hanno dunque adottato questa tipologia di arredo per gli ampi open space dei loro headquarter: centinaia di persone, più o meno “agili, sedute ai bench intervallati da contenitori e aree informali che creano una minima divisione dei territori e da sale riunione chiuse che rendono possibile una minima privacy. Questa nuova omologazione nel progetto del workplace è stata applicata per oltre dieci anni.
Fino a quando non ci si è accorti che l’ufficio non è una rigogliosa campagna in estate né i lavoratori, più o meno smart, sono gioiosi commensali che brindano insieme con un bordeaux d’annata.
Allora i limiti del bench desk hanno cominciato a essere evidenti: mancanza di privacy e fastidio al rumore sono i primi sintomi che hanno generato il proliferare di pannelli acustici di ogni tipo. Anche l’eccessiva staticità di quei 6/8 posti indissolubilmente legati tra loro crea notevoli problemi.
In una situazione fluida è più probabile dover modificare la posizione di 2 o 3 persone piuttosto che di 8 tutte insieme; inoltre la fissità dei piani di lavoro è poco ergonomica perchè non tutti i lavoratori hanno la stessa altezza o svolgono la propria attività nella stessa posizione.
Così alle romantiche visioni bucoliche si sostituiscono fantasie urbane e industriali, talvolta anche un po’ rudi -vedi il “Garage” di Vitra- che indicano il diffondersi di nuove estetiche.
Diminuisce il numero delle scrivanie ma le loro performance sono più alte (struttura che permetta una più semplice gestione e flessibilità ; piani regolabili in altezza, ecc.) e compaiono inedite tipologie di tavoli che rispondono a molte esigenze.
Soprattutto è necessario esplorare quel che accade nell’era del neo-nomadismo generato dalle tecnologie mobili.
Il cloud computing, il coworking, lo smart working, il lavoro in viaggio– che sono diventati i nostri “luoghi” produttivi abituali- caratterizzano gli ambienti dove viviamo e hanno necessariamente un impatto anche sul design degli arredi.
E l’innovazione per il workplace probabilmente nasce dall’approccio del design nomade.
Editoriale di Renata Sias, direttore WOW! Webmagazine
Didascalie
in alto:
Bench system Joyn, design Ronan e Erwan Bouroullec, proposto da Vitra a Orgatec 2002.
al centro:
Hack, sistema con estetica da garage, design Kostantin Grcic, proposto da Vitra a Orgatec 2014.
sotto:
Tavoli organici e flessibili Mastermind High Desk, attrezzature multimediali e sedute informali proposti da Sedus per l’arredo delle aree creative a Orgatec 2016.