Di sicuro, finita la fase di emergenza, nessuno potrà più dire “noi lo smart working non lo possiamo fare”: questo è positivo.
Però affermare, come sento spesso nelle ultime settimane, che la diffusione del covid-19 ha diffuso anche lo Smart Working mi sembra fuorviante.
Sarebbe come dire che chi corre per prendere il bus è un maratoneta (per citare un’azzeccata metafora del mio amico Luca Trippetti).
Lo Smart Working è un modello organizzativo, un cambiamento culturale radicale; la possibilità di svolgere l’attività lavorativa a casa è solo una delle sue possibilità/prerogative; a mio parere la meno stimolante, soprattutto nelle attuali condizioni sanitarie che non rendono applicabile la Flessibilità, elemento chiave dello Smart Working.
In tanti hanno scoperto che non è necessario andare in ufficio per lavorare, però è riduttivo definire Smart Working quello che in realtà è un Emergency Remote Working.
Il corona virus ci costringe a lavorare da casa; tutti -aziende, dipendenti e liberi professionisti- ci adeguiamo con senso di responsabilità alle nuove direttive ministeriali, questo può essere il primo passo di una grande trasformazione culturale del mondo del lavoro, nelle aziende pubbliche e private, solo se si comprende che cosa è davvero lo Smart Working e se si smette di equipararlo all’Home Working o al cosiddetto Telelavoro, concetto obsoleto che non restituisce la complessità e il valore dello Smart Working.
Un valore che va costruito giorno per giorno con consapevolezza e coerenza, come ben sanno le aziende che da anni hanno intrapreso questo percorso e che continuano a evolvere nel confronto sul campo.
Perchè una cosa è certa: non esiste un’unica ricetta valida per tutte le aziende e applicare lo Smart Working significa intraprendere un cammino costantemente in progress che ha come primo obiettivo il benessere e la felicità delle persone, il work-life balance, la creazione di un clima aziendale positivo.
L’aumento dell’efficienza e della produttività, la riduzione dell’assenteismo e delle assenze per malattia sono una conseguenza, non il fine.
I pilastri dello smart working: persone, organizzazione, tecnologia, spazio fisico.
In estrema sintesi, lo Smart Working è una “filosofia” che parte dalla fiducia nelle persone, dall’autonomia e responsabilizzazione, dalla flessibilità nella scelta di luoghi/orari.
Richiede una diversa e più flessibile definizione degli spazi, un adeguamento della piattaforma tecnologica e un result-based management.
Alla luce di queste definizioni dello Smart Working, dobbiamo riconoscere che l’Emergency Remote Working che stiamo sperimentando in periodo di corona virus è un po’ zoppicante…
Ecco perchè questo non è Smart Working.
Pur con mille difficoltà oggettive, l’applicazione delle direttive ministeriali è risultata più semplice e lineare per le aziende che già avevano intrapreso il percorso dello Smart Working, che avevano già coinvolto in questo cambiamento i dipendenti e li avevano dotati delle tecnologie più adeguate.
Ben diversa è la situazione per tutti le altre aziende che stanno improvvisando, semplicemente lasciando i dipendenti a lavorare da casa, sul tavolo da pranzo, con pc e monitor perché non sono nemmeno previsti lap-top né tantomeno strumenti che permettano la firma dei superiori sui documenti o una videoconferenza tra colleghi che lavorano nello stesso team.
Le attuali condizioni di emergenza rischiano, non solo di dare un’errata concezione, ma anche di portare a un rifiuto in toto dello Smart Working.
Il Remote Working da covid-19 è purtroppo una modalità coercitiva, accompagnata dal più assoluto isolamento, e soprattutto i genitori lavoratori sono messi a dura prova dalla presenza dei figli a casa da scuola, soprattutto se piccoli e impegnati in attività abbastanza naif di “Smart Learning”. Altro che Work-Life balance!
Il Remote Working imposto da #iorestoacasa non permette nessuna flessibilità nella scelta del luogo e soprattutto non è accompagnato da un change management basato sulla fiducia.
Ho sentito diverse personechiedersi se il loro capo può controllare se rispettano l’orario di lavoro, sorprendersi del fatto di avere lavorato molto di più di quanto avrebbero fatto in ufficio, ma anche stanche della solitudine già dopo pochi giorni, trascorsi in pantofole e tuta da ginnastica.
A dimostrazione che in molte aziende il Controllo è ancora la leva principale del management e che la socializzazione, il confronto, la condivisione, l’incontro con gli altri sono esigenze primarie dell’essere umano che danno un senso anche al lavoro.
Alea iacta est.
Ora però il dado è stato tratto e, finita questa dannata emergenza, le aziende non potranno più ignorare i vantaggi del Lavoro Agile, né affermare che è impraticabile.
Ma potranno mettere in pratica lo Smart Working solo se ci sarà la consapevolezza del suo reale significato.
Testo di Renata Sias