
Che impatto ha lo Smart Working sul benessere delle persone? Quale è il livello di soddisfazione dei lavoratori rispetto alla loro condizione di lavoro attuale e che atteggiamento hanno nei confronti delle modalità di lavoro agile?
Da anni ripetiamo come un mantra che lo smart working porta solo vantaggi. L’ indagine “Smart & Well” presentata a Milano e svolta su oltre 400 white collar, da Doxa in collaborazione con la società di Formazione Trivioquadrivio, fornisce alcuni dati in contrasto con le nostre ottimistiche certezze e utili indicazioni per le organizzazioni che vogliano attuare o proseguire il percorso verso modalità di lavoro più flessibili.
Attraverso l’indagine di Doxa, i lavoratori offrono una fotografia puntuale sullo stato dell’arte delle organizzazioni in Italia e anche l’atteggiamento verso un possibile cambiamento in direzione smart.
Partiamo dai due fattori che dall’indagine si evidenziano con chiarezza.
Il primo conferma che lo smart working è innanzi tutto un cambiamento culturale: il change management può avere successo solo se i primi a crederci sono i manager, come ha sottolineato anche Dario Villa, partner di Trivioquadrivio: «Il cambiamento organizzativo orientato al lavoro smart si sostiene con i fatti: dare l’esempio è fondamentale a qualsiasi livello aziendale. Sono quindi i vertici organizzativi i primi a doversi fare interpreti ed “evangelisti” del change management».
Il secondo è un segnale di cambiamento in atto: le aziende sono sempre più attente al benessere dei dipendenti e alle loro esigenze di vita, oltre che lavorative. Lo dimostra il fatto che 9 aziende su 10 prevedono iniziative di welfare aziendale all’interno e all’esterno dell’organizzazione: da un lato politiche finalizzate a rendere più flessibile il lavoro, dall’altro azioni orientate al work-life balance.
All’interno dell’azienda i servizi e le facilities più diffuse sono ristoranti aziendali, bar e kitchenette, l’asilo nido, e gli ambienti per lo svago e il relax come biblioteca, palestra e recharging area. Le iniziative esterne sono quanto mai varie: tra queste viaggi, corsi, eventi culturali; assistenza e servizi per la famiglia.
«Per un numero crescente di aziende il well-being dei propri dipendenti è diventato una priorità, non solo perché è cosa buona e giusta, ma perché ne derivano ricadute tangibili per lo sviluppo del business» commenta Massimo Sumberesi, BU Director Doxa e responsabile della ricerca Smart & Well.
E non lo dicono le aziende, ma gli stessi dipendenti che hanno risposto alla survey di Doxa e Trivioquadrivio.
Le interviste sono state svolte su tutto il territorio nazionale su un campione di 412 intervistati (77% impiegati; 16% quadri; 7%dirigenti), 58% di sesso maschile, 42% femminile con età media 43 anni.
Il 25% circa rientra nella categoria “sandwich generation”, schiacciata tra figli piccoli e genitori anziani da accudire, ovvero quella che può trarre maggiori vantaggi da una maggiore flessibilità del lavoro.
Flessibilità di luoghi.
Forse l’unica critica a questa indagine è quella di non avere posto l’accento sul fatto che smart working significa flessibilità all’interno dell’ufficio e anche flessibilità di scelta di altre location esterne alla propria sede (coworking, hub aziendali, luoghi terzi, ecc). Dalle domande poste sembra invece che la propria casa sia l’unica alternativa all’ufficio.
Orari flessibili.
In modalità di lavoro agile, la soddisfazione degli intervistati riguarda soprattutto i trasferimenti casa lavoro (circa 80%) che assorbono quasi 1 ora al giorno; e si sente in particolare privilegiato chi può raggiungere l’ufficio a piedi o in bicicletta, anche se l’81% utilizza invece mezzi privati.
Anche sugli orari di lavoro la soddisfazione è mediamente alta (85%) nonostante solo il 13% lavori part time e il 40% dichiari di lavorare più di 8 ore. Per circa 30% degli impiegati è normale portare a casa il lavoro da svolgere.
Non sorprende che uno dei timori rispetto alla smart working sia quello di “non riuscire a staccare completamente”. Il burnout effettivamente è un fenomeno da non sottovalutare, non a caso la legislazione parla del “diritto di disconnettersi”.
Autonomia.
L’atteggiamento dei dipendenti nei confronti dello smart working è talvolta ambivalente-soprattutto in tema di autonomia e lavoro per obiettivi
Migliorare l’interior design.
Per quanto riguarda l’organizzazione spaziale del workplace, il 55% del campione intervistato lavora in open space e pur apprezzandone i vantaggi in termini di condivisione lamenta la mancanza di privacy e di concentrazione.
Svelando uno scenario più statico del previsto, in media solo il 31% lavora in team, mentre il 54% lavora da solo.
L’ufficio paperless è una realtà per il 40% delle aziende, anche se non è superata la cattiva abitudine di stampare inutilmente su carta i documenti.
L’abbandono della postazione fissa resta un passaggio delicato: emergono l’attaccamento alla propria scrivania, il desiderio di personalizzarla, la difficoltà nel trovare i colleghi con i quali lavorare. E’ che va gestito coinvolgendo i lavoratori e che può funzionare solo se i manager ci credono e per primi rinunciano alla propria workstation personale.
Per concludere, il 20% dei lavoratori non è soddisfatto della propria postazione di lavoro in termini di comfort e funzionalità: un dato che dimostra quanto margine di miglioramento ancora ci sia per l’office design.
Segmentazione attitudinale: le sorprese!
Sulla base delle posizioni di accordo o disaccordo nei confronti dello smart working, gli intervistati sono stati suddivisi in quattro gruppi:
Convinti (19%)
Favorevoli (21%)
Dubbiosi (47%)
Resistenti (13%):
Esclusa la frangia del 13% di resistenti al cambiamento, resta quindi una larga fetta del 47% che ancora deve essere convinta.
Identikit dei quattro segmenti.
Si ricreda chi pensa che lo smart working sia il sogno delle donne con famiglia: contrariamente a quanto si possa immaginare, le più Resistenti: sono soprattutto donne over 55 del centro/sud, con ruolo dirigenziale in aziende medio-piccole, che non vogliono rinunciare alla routine e ai privilegi conquistati.
Rientrano nei Dubbiosi gli uomini tra 35/45 anni, diplomati ma non laureati, impiegati in aziende di medie dimensioni che si lamentano dell’organizzazione burocratica aziendale ma non vogliono avere maggiori responsabilità.
Al contrario, le più sono Favorevoli sono le donne tra i 35/45 anni; senza figli, impiegate in piccole aziende del nord, si sentono stressate dai tempi per gli spostamenti casa-lavoro e soprattutto voglio crescere professionalmente e avere maggiore automi e responsabilità.
I Convinti sono uomini del nord e centro Italia tra 35/44 anni con laurea e master che ricoprono ruoli di responsabilità in aziende multinazionali e quindi abituati a lavorare in aziende culturalmente più evolute.
I Millennials e Z Generation dove si collocano?
Resta da scoprire l’atteggiamento delle generazioni più giovani, che non sono state incluse nell’indagine, come ha evidenziato Beatrice Taralla, HR di Subito, azienda molto attenta alle esigenze dei Millennials, dato che l’età media dei dipendenti è 34 anni…
Forse scopriremo che non è così lontano il giorno in cui – anche in Italia- i dipendenti dovranno andate in ufficio un solo giorno alla settimana!
L’incontro si è concluso con la tavola rotonda moderata da Andrea Orlandini, past president di AIDP, dove alcuni HR Manager hanno raccontato la propria esperienza: Christina Anagnostopoulou (Europ Assistance), Beatrice Taralla (Subito.it ) e Livio Zingarelli (Philips). Gli aspetti legislativi sono stati affrontati da Edgardo Ratti, Managing Partner dello studio legale Littler.
Dario Villa ha invece illustrato la metodologia con la quale Trivioquadrivio accompagna le aziende che vogliono intraprendere in modo consapevole il percorso dello smart working mantenendo il focus sulle persone.
Report di Renata Sias