Neuroscienza, architettura ed empatia degli spazi.

Il neuroscienziato Vittorio Gallese parla di “neuroni specchio” e spiega agli architetti che la forma segue l’emozione, non la funzione!
“In realtà la neuroscienza non ha inventato nulla; si scriveva di empatia degli spazi oltre 100 anni fa all’interno del dibattito estetico”

così esordisce il neuroscienziato Vittorio Gallese – scopritore dei ‘neuroni specchio’ insieme ai ricercatori dell’Università di Parma, coordinati da Giacomo Rizzolatti nell’incontroEmpatia degli spazi” organizzato da Lombardini 22 lo scorso 21 novembre.
È chiaro che il concetto di Empatia è usato in un’accezione diversa da quella “romantica” alla quale siamo abituati; ci si colloca in una cornice teorica che affronta il rapporto tra cervello, corpo e relazione con gli oggetti.
Esperimenti in laboratorio, con animali e umani, registrano attività particolari dei neuroni dimostrando che Azione, Percezione e Cognizione non appartengono a mondi diversi. Come spiega Gallese con una metafora “Pizzichi una corda e le altre entrano in risonanza”; non esistono “scatole” separate nel nostro cervello ma “Neuroni Specchio che entrano in risonanza” attivando i neuroni del sistema motorio che “prevede le conseguenze” permettendoci di anticipare un movimento.
L’aspetto interessante è che certe aree del cervello si attivano non solo se si viene schiaffeggiati, ma anche se vediamo qualcuno che viene schiaffeggiato: “entriamo in empatia”. Anche nell’uomo che mettiamo in uno spazio architettonico “non può prevalere la razionalità separata dall’emotività”.
I neuroni traducono la forma di un oggetto in un programma motorio, permettono di cogliere le esigenze di una persona in relazione allo spazio. Progettando un ambiente si deve quindi considerare che l’uomo sperimenta in tutta la sua corporalità, nei movimenti e nell’emozionalità. Approccio sinestetico, insomma, come già aveva approfondito Harry Francis Mallgrave in “Architecture and Embodiment”.

Con decine di affascinanti esempi Gallese aiuta a comprendere la complessità di questo mondo dimostrando che le emozioni danno senso alle azioni.
Per esempio degustando lo stesso whisky in tre bar diversi si ottengono percezioni diverse. Alcuni segni grafici rimandano alla dinamica attivando le aree del sistema motorio del cervello. Una luce sbagliata al ristorante può modificare la texture di una pietanza e renderla meno piacevole.
Gut Feeling” per dirla con un termine poco elegante ma efficace: non è ancora chiarito cosa sia la visione olistica, ma certamente siamo integrati e armonizzati.
In un’intervista esclusiva con WOW! il prof Gallese approfondisce poi il tema dell’empatia degli spazi nell’ambito dell’architettura per l’ambiente di lavoro.

Che tipo di emozioni ed “empatia” stimola un ambiente di lavoro openspace? Che valore hanno gli elementi culturali e prossemici? “Dobbiamo lasciarci alle spalle il concetto di standardizzazione e basarci sempre di più sulle differenze individuali. Abbiamo cervelli diversi che, entro certi limiti, posti davanti alla stessa situazione reagiscono in modo diverso” spiega il prof. Gallese.
Testo di Renata Sias, direttore di WOW! Webmagazine