Now We Work è uno studio de Il Prisma svolto in collaborazione con il Politecnico di Milano, il Laboratorio di Neuroscienze Applicate GTechnology e l’Università Cattolica di Milano. La stesura del volume, edito da McGraw Hill ha coinvolto architetti, psicologi e neurologi alla definizione dell’ufficio del futuro, un luogo che stimola maggiore produttività, creatività e interazioni equilibrate. Forse, troveremo alcune “verità dell’ovvio”, come ha detto Carlo Galimberti, ma certamente rappresenta un metodo interessante per progettare gli uffici dell’innovazione e un’alternativa alla logica autoreferenziale del progettista.
L’obiettivo non è stato trovare La soluzione, quanto suggerire una progettazione attenta anche al ruolo dei 5 sensi nella definizione dei materiali, delle luci, degli odori.
Il testo indica un percorso multisensoriale e attento alla biofilia come risorsa capace di realizzare workplace non asettici.
La metodologia Redefine your Habits creata e applicata da Il Prisma abbandona il concetto di “progettare con” sostituendolo con l’approccio“progettare per” e interpreta lo Smart Working e l’esigenza sociale di vivere meglio il proprio rapporto con il lavoro realizzando luoghi realmente a misura di individuo e a beneficio della collettività.
Lo studio sostiene inoltre che, dal punto di vista psicosociale, la progettazione intersoggetiva si presenta come un’impresa collaborativa orientata alla costruzione e alla gestione del progetto nel corso della quale si articolano attività di natura cognitiva (nel senso della produzione e dell’analisi di dati e conoscenze), tecnica, comunicativa e strategico-organizzativa.
Riportiamo il testo tratto dal capitolo 5: “I 5 sensi ed il design innovativo degli uffici”.
Gli uffici asettici e uguali per tutti non rappresentano più una soluzione adeguata ai nuovi modi di lavorare e alla sensibilità dei lavoratori. Quali elementi introdurre?
L’indagine sulla progettazione degli uffici ed il ruolo dei 5 sensi è stata caratterizzata, da una fase sperimentale. Abbiamo condotto un esperimento finalizzato a verificare certe intuizioni progettuali con le reazioni fisiologiche dell’utente, grazie al confronto con le neuroscienze. Spesso l’edificio o l’ambiente assumono un significato differente per l’architetto e il non-architetto. Abbiamo così misurato stimoli ambientali, immagini che li rappresentano e concetti ad essi sottostanti, partendo dal cervello degli utenti finali.
L’esperimento ha avuto come obiettivo quello di iniziare a costruire una grammatica emozionale. Abbiamo analizzato le reazioni dei soggetti:
– Di fronte ai nomi dei concetti che rappresentano i nuovi modi di lavorare (per esempio: flessibilità, comunicazione, gerarchia, homework);
– Di fronte ai colori che, secondo la letteratura, sono efficaci per le attività lavorative;
– Di fronte alle immagini di uffici sia tradizionali che innovativi.
– È stata condotta un’analisi esperienziale in due ambienti diversi: uno progettato in modo da sollecitare i 5 sensi ed uno più neutro. Le persone testate hanno svolto delle attività lavorative nei due ambienti.
1 Impatto percettivo-cognitivo di un AMBIENTE REALE
Una stanza è stata progettata in modo da sollecitare tutti e 5 i sensi (con arredi in legno di cedro grezzo e odoroso, luce calda concentrata sul tavolo, luce blu su parete, immagini di natura e presenza di cibo), una stanza è stata progettata in modo più tradizionale, neutro con tavoli e sedie standard, classica luce diffusa a soffitto. Si è scelto di testare 2 tipi di attività: formazione/apprendimento individuale e problem solving in un gruppo di tre persone. Mentre per il primo tipo di attività l’ambiente si è rivelato adeguato, per il secondo tipo di attività si è rilevata una lieve perdita di concentrazione e di efficacia. L’ambiente progettato enfatizzando gli aspetti sensoriali si è rivelato adeguato per un’attività di concentrazione/apprendimento individuale; non adeguato per attività di problem solving a tre.
2 Impatto percezione cognitivo-emozionale di IMMAGINI DI COLORI/ IMMAGINI DI UFFICI/ CONCETTI
Sono state misurare le reazioni dell’individuo di fronte alla visione di certe immagini di colori, uffici e concetti. Precisamente sono state misurate:
Attenzione: il soggetto è pronto a ricevere stimoli dall’esterno. È aperto e ricettivo.
Focus: l’utente è concentrato sui dettagli o sull’attività che sta svolgendo.
Apprendimento: l’utente è pronto ad apprendere e memorizzare. È in una fase di aggiornamento delle sue conoscenze pregresse.
Evocazione: l’utente collega e confronta lo stimolo con le sue esperienze precedenti.
Semplicità: segnala la comprensibilità ed immediatezza di ciò che lo stimolo comunica. Se questa neurometrica è disattivata, il soggetto si trova in una situazione di affaticamento cognitivo.
Calma: indica che il soggetto si trova in una condizione di relax e disponibilità a interagire efficacemente con l’ambiente. Se disattivata, genera uno stato di inibizione, ostacolando il processo di presa di decisione.
Le Neurometriche Evocatizione, Semplicità e Calma sono quelle maggiormente influenzate dall’ambiente esterno. Ciò significa che il design e la progettazione degli oggetti e degli ambienti fisici e/o digitali con cui la persona interagisce generano delle reazioni soprattutto rispetto a questi indicatori. Al contrario le Neurometriche Attenzione, Focus ed Apprendimento sono maggiormente legate al soggetto che sta svolgendo l’attività richiesta.
Tratto dal capitolo 2: “Lo sguardo e l’ascolto”.
Perchè è opportuno sviluppare una sensibilità psicosociale negli operatori dell’architettura e del design
RISCHI DI UN APPROCCIO AL PROGETTO SOLO DAL PUNTO DI VISTA ARCHITETTONICO
Questo contributo si concentra sulle ragioni che sostengono l’utilità dello sviluppo di una sensibilità psicosociale negli operatori dell’architettura e del design. Il rischio che i progettisti stanno correndo è quello di non riuscire a interpretare il presente e, pertanto, di non essere in grado di produrre risposte adeguate alle richieste della committenza. I fattori che possono non facilitare il confronto tra progettista e committente sono:
– eccesso di sicurezza (“convenzioni generalizzanti e autoreferenziali”) di ogni sapere tecnico;
– posizione monologica nel formulare il problema caratterizzata da indifferenza al mondo esterno che esclude l’ascolto delle esigenze dei soggetti coinvolti nell’operazione;
– costruzione di un sistema autoreferenziale per la gestione del progetto (la tecnica basta a se stessa) vs sistema aperto adatto a trattare la complessità generata dall’intreccio tra dimensione tecnica e dimensione umana dei problemi/progetti urbanistici, architettonici e di design;
– il superamento dei confini disciplinari non è dato una volta per tutte;
– il sapere va sempre contestualizzato;
AZIONI POSSIBILI: LA PROGETTAZIONE INTERSOGGETTIVA
La progettazione intersoggetiva coinvolge il cliente ed è un’impresa collaboraiva orientata alla costruzione e alla gestione del progetto.
Il primo atto di questa impresa collaborativa è costituito dall’analisi della richiesta posta dal committente al tecnico. Questa prima fase è caratterizzata da un doppio coinvolgimento e impegno. L’architetto deve lasciarsi coinvolgere nel mondo “proto-progettuale” del committente, fatto di desideri e aspettative, ma anche di percezioni, rappresentazioni, atteggiamenti e valutazioni di comportamenti, e deve impegnarsi a trovare una via comune all’elaborazione di tutto ciò che “abita” tale mondo per aprire uno spazio ideativo che il committente avverta effettivamente come “condiviso”.
Il committente deve, pur con tutte le cautele del caso, farsi coinvolgere dal flusso ideativo dell’architetto – fatto di proposte, ma soprattutto di ascolto almeno nella fase iniziale – impegnandosi a collaborare con lui all’elaborazione, prima ancora che del progetto, della propria richiesta, articolandone gli aspetti che, pur presenti in essa, non sempre gli sono evidenti. In questo contributo prendiamo in considerazione i due approcci alla ricerca praticati dalle scienze sociali, quello quantitativo e quello qualitativo, preparando la strada alla presentazione dei due strumenti – rispettivamente questionario e osservazione – che possono meglio contribuire alla gestione della prima fase.
Essi si differenziano per le tecniche di produzione e analisi dei dati, ma anche e soprattutto per le logiche sottostanti a tali tecniche. Coloro che ricorrono agli approcci quantitativi sono interessati a esplorare i fenomeni raccogliendo dati numerici che sono analizzati utilizzando metodi matematici (e in particoare la statistica). Gli approcci qualitativi si rifanno invece a una logica dell’approfondimento: si identifica un numero limitato di casi da studiare, ma con l’obiettivo di intercettare la complessità del fenomeno, dando voce anche alla specificità delle singole esperienze, cercando di fornirne una spiegazione. Le tecniche più comuni per la generazione di dati negli approcci qualitativi sono l’intervista e l’osservazione. Intendendo, dunque, la progettazione partecipata come un’impresa collaborativa orientata alla definizione e alla gestione del progetto, tre sono i livelli cui tali elementi possono essere riferiti: il piano delle conoscenze, quello delle dinamiche comunicative e, infine, quello relativo alla gestione del progetto.
Per quanto riguarda il piano conoscitivo, il nostro consiglio è che i tecnici si attrezzino per:
– saper tollerare la mancanza di certezza sia rispetto a singole questioni;
– integrare razionalità computante e razionalità argomentativa;
– contestualizzare sempre le conoscenze, qualunque sia la loro natura; • superare, sia pure con la gradualità e la processualità necessarie, i confini disciplinari di cui sono portatrici le professionalità in gioco.
A proposito della comunicazione, l’indicazione di fondo è evitare la chiusura in una posizione monologica, aprendosi invece al dialogo tra le parti.
Infine, gestire il progetto come un sistema aperto, i cui confini sono porosi sia tra le parti direttamente coinvolte, sia nei confronti dei contesti (organizzativo, culturale, economico, comunitario sociale, urbanistico ecc.) in cui esso si inserisce. E tutto ciò, naturalmente, in vista della valorizzazione sul piano operativo del senso di appartenenza (di gruppo, comunitaria, sociale) delle persone per cui/con cui si progetta.