
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il contributo di Alessandro Barison, 43 anni, imprenditore e designer, socio e consigliere delegato di Emme Italia, micro impresa padovana che celebra quest’anno il 25esimo anniversario dalla fondazione
Barison, che non ha potuto rilasciarci un’intervista skype a causa della difficoltà tecnica di connessione dalla sua abitazione nella campagna veneta, immagina scenari post-pandemico complessi ma propositivo e sostiene che le parole chiave per la rinascita dovranno essere: Istruzione (e cultura diffusa); Salute (e qualità della vita); Ambiente (e capitalismo sostenibile).
La situazione di emergenza corona virus che stiamo vivendo in queste settimane è difficile e molto complessa. Senza dubbio la priorità contingente è garantire alla popolazione l’assistenza sanitaria.
Di conseguenza il primo step che ci attende per poter immaginare una riapertura delle attività produttive è la definizione di un progetto chiaro, di rapida attuazione, e sostenibile per le aziende di tutte le tipologie e dimensioni. Una pianificazione operativa che garantisca la salute dei lavoratori, in particolare nelle attività manifatturiere, e che consenta non solo una crescita progressiva delle potenzialità produttive dell’azienda, ma anche la flessibilità necessaria per poter rispondere con prontezza ad eventuali future nuove situazioni di emergenza.
In questo scenario, soprattutto per le PMI e la Micro Impresa, le attività di confronto delle associazioni di categoria con gli organi dello Stato è di vitale importanza. Credo anche che per garantire maggiore lungimiranza a queste scelte, sia necessario il contributo di Università e di Associazioni come ADI, (Associazione per il Disegno Industriale), che possono mettere in campo una visione olistica dei processi produttivi e del mercato, non strettamente legata alle semplici necessità operative. C’è bisogno, in sintesi, di poche regole e di molta progettualità.
L’altro elemento critico come è noto si riferisce alla liquidità finanziaria, assolutamente indispensabile per poter garantire continuità alle attività d’impresa, in particolare quelle di dimensioni più piccole. Rapidità e semplificazione burocratica sono la chiave per intervenire con efficacia su questo aspetto.
Le azioni tattiche da intraprendere per arginare nel miglior modo possibile le difficoltà contingenti delle imprese come abbiamo visto sono tutto sommato semplici da individuare. Quello che appare certamente più arduo al momento è mettere in campo delle azioni strategiche a medio-lungo termine. Si può ad ogni modo tentare di immaginare degli scenari post-pandemici e concentrare la nostra attenzione su alcune keywords che ci possano aiutare a dare delle possibili chiavi di lettura al futuro prossimo.

Patrimonio tangibile e intangibile dell’Impresa.
PMI e Micro Impresa dovranno probabilmente imparare dalle grandi aziende quanto siano importanti alcuni asset intangibili che potranno essere decisivi nella gestione della ripresa post-pandemica, come ad esempio il valore del Marchio (Brand Heritage in primis) o del patrimonio umano (e Know-how aziendale).
Storicamente PMI e Micro Impresa si sono spesso concentrate su beni tangibili quali macchinari e attrezzature. Lo scenario che si prospetta davanti a noi nell’immediato futuro dovrà per forza di cose affiancare a questi investimenti anche investimenti non solo sugli strumenti ma anche sui processi produttivi e gestionali come lean-production, supply-chain, market architecture.
Anche dal punto di vista sistemico, mi immagino necessario uno scavalcamento delle dinamiche che hanno portato a progetti di sostegno all’innovazione come Industria 4.0, ancora troppo legati al bene materiale, per passare a strumenti d’innovazione basati principalmente sull’innovazione sistemica e di processo. Molta attenzione, certamente, alle innovazioni tecnologiche, alla meccatronica e alle automazioni di processo. Ma, volendo sintetizzare, nelle aziende mi immagino un futuro con qualche stampante 3D in meno e qualche progetto di Design Management in più.
Quali parole chiave per un Nuovo Rinascimento?
Ci siamo sentiti dire spesso che i momenti di crisi aprono innumerevoli opportunità di crescita. La mia esperienza personale, oltre che professionale, mi permette di confermare questa tesi. La mancanza di certezze ci spinge spesso ad individuare nuove priorità e nuove strade da intraprendere, che ci erano sconosciute.
In queste settimane è stato nominato spesso il Rinascimento come esempio di rinascita epocale. Mi auguro che da questo difficile momento storico possa davvero nascere un movimento che abbracci tutti gli aspetti della società contemporanea, e che venga data sempre importanza al valore umano e umanistico di tutte le scelte sul nostro futuro.
Non vorrei che, accecati dalla fiducia pedissequa nella scienza e nelle tecnologie informatiche che ci hanno sorretto in queste settimane, si entrasse in un epoca in cui ci si affida esclusivamente ad una sorta di nuovo e acritico manifesto Futurista per il terzo millennio.
Le parole chiave per una vera rinascita non potranno che essere:
– Istruzione (e cultura diffusa)
– Salute (e qualità della vita)
– Ambiente (e capitalismo sostenibile)
Le aziende, in particolare PMI e Micro Impresa, potranno certamente dare un grande contributo a questo rilancio sistemico e culturale nel modo di fare impresa. Le difficoltà, anche drammatiche, non mancheranno. Non tutti saranno in grado di sopravvivere a questa tempesta, ma chi ce la farà avrà il dovere di costruire un futuro migliore, per tutti.
Questo obiettivo può sembrare del tutto utopico. Ma, se mi permettete una provocazione, per realizzarlo potrebbe essere sufficiente che tutti gli imprenditori leggessero qualche pagina scritta da Adriano Olivetti.
Se noi imprenditori ci svegliassimo tutte le mattine, e prima di andare in azienda, ci domandassimo: “Cosa avrebbe fatto Adrano Olivetti al mio posto?”, forse potremmo davvero immaginare dinnanzi a noi un nuovo boom economico.
Nuova glocalizzazione.
Nelle grandi aziende il fenomeno della globalizzazione già da anni ha lasciato spazio a numerosi esempi di glocalizzazione. Dopo aver invaso il mondo con prodotti del tutto standardizzati, identici da Roma a Berlino, a Parigi, a Londra, a Tokyo, passando per NewYork, molte grandi aziende stanno affiancando al prodotto di massa anche prodotti con alcune caratteristiche di nicchia, differenziando le loro proposte a seconda del luogo geografico e delle esigenze particolari del target di riferimento.
Partendo da un piano di investimenti e di linee guida globali, applicano strategie che valorizzano caratteristiche locali. Dalla globalizzazione alla glocalizzazione, quindi. Questo significa ad esempio avere un prodotto al 90% identico in tutti i mercati, mantenendo un 10% di caratteristiche peculiari ad un mercato specifico.
A questo primo step, che ha interessato principalmente la sfera progettuale e di mercato, si affiancherà molto probabilmente un secondo step maggiormente legato ai processi produttivi. La delocalizzazione produttiva non sarà abbandonata, ma probabilmente vedremo una maggiore dinamicità e flessibilità nella gestione della dislocazione degli impianti produttivi strategici. Una sorta di rete interconnessa di unità produttive di backup che possono, all’occorrenza, cambiare rapidamente volumi e tipologie di produzione per andare incontro a necessità impreviste o emergenziali.
Anche PMI e Micro Impresa dovranno attrezzarsi a riguardo, da un lato riprogettando la propria produzione e la propria supply-chain in modo da poter reagire prontamente a crisi inaspettate, dall’altro offrendosi alle aziende più grandi come risorsa locale in outsourcing per andare ad integrare questa nuova rete di unità produttive di backup che potrà nascere potenzialmente dopo la crisi di questi mesi.
Da nicchie di mercato a nicchie di competenze.
In un potenziale scenario di costante pre-allarme pandemico le nicchie di mercato potrebbero lasciare sempre più spazio alle nicchie di competenze. Non solo quindi cosa so fare e per chi lo faccio ma anche come lo faccio.
Ancor più di prima, per poter gestire con flessibilità ed efficacia il potenziale d’impresa non sarà più sufficiente avere il macchinario giusto, un buon prodotto, un buon prezzo, una buona rete vendita.
A divenire sempre più strategici saranno il patrimonio intangibile d’impresa, la progettazione, i protocolli operativi, la gestione ed il controllo dei processi industriali, anche i più piccoli. Questo approccio potrà consentire una reazione più rapida ed efficace ai repentini cambiamenti che la situazione contingente potrà eventualmente richiedere, sia per esigenze di mercato che per esigenze imprevedibili come gli episodi pandemici che stiamo vivendo in queste settimane.
L’impresa deve poter immaginare, ove possibile, di poter mettere in gioco con rapidità e flessibilità le proprie competenze in ambiti trasversali che possono interessare campi anche molto diversi da quelli per cui l’azienda è nata o è principalmente attiva, come hanno dimostrato in questo periodo molte aziende che hanno trasformato la loro operatività per produrre componenti per il settore medicale.
Consumismo consapevole.
Queste settimane di lockdown hanno trasformato in un lampo le nostre priorità e le nostre attitudini di acquisto. Molti hanno sperimentato per la prima volta l’ebrezza degli acquisti online. Molte attività commerciali hanno testato per la prima volta modalità di vendita con servizi di home delivery per i propri clienti. In generale in poche settimane abbiamo fatto un (obbligato) immenso balzo in avanti inella digitalizzazione dei servizi.
Se questo ha da un lato ulteriormente favorito le grandi catene di distribuzione già attrezzate per la vendita online, dall’altro ha stimolato anche nei piccoli commercianti un approccio propositivo a queste modalità di vendita. Mi immagino quindi nel breve periodo uno slancio generalizzato nel settore web, e-commerce e home delivery, anche tra le PMI e la Micro Impresa, così come nel commercio.
Il negozio, la bottega, l’azienda, potranno poi ritrovare un nuovo valore comunicativo e operativo, con nuove funzioni che potremmo definire similari a quelle dei flagship-store delle grandi aziende, una sorta di hub dal quale scaturiscono molteplici differenti processi di vendita.
Il consumatore, se stimolato correttamente dalle realtà commerciali e produttive del territorio, potrà godere di nuove esperienze d’acquisto. Il valore immateriale ed empatico delle aziende potrà quindi sfidare le grandi multinazionali in un campo d’azione privilegiato, che potrà delineare, mi auguro, un nuovo approccio più consapevole al consumo.
Probabilmente l’esperienza di queste settimane e di questi mesi porterà inoltre molti consumatori, scettici sulle modalità di utilizzo condiviso di beni durevoli tipici della sharing economy, a rivalutare la loro posizione e a sperimentare nuove dinamiche di utilizzo di un bene materiale.
Mantenere alte le aspettative.
Come racconta magistralmente Massimo Mantellini nel suo libro Bassa Risoluzione (Giulio Einaudi editore, 2018): “Internet ha modificato radicalmente il nostro approccio con la profondità, con le informazioni, le relazioni sociali, i mercati e la cultura”. Parafrasando lo stesso Mantellini, le nostre vite sono ancor più oggi, in questa situazione di emergenza, ricolme di servizi, strumenti e oggetti a bassa risoluzione, superficiali e senza profondità.
Il rischio è quindi quello di abbassare le nostre aspettative e credere che una fiera o la presentazione di un prodotto in uno showroom possano essere integralmente sostituiti da uno streaming online.
Certamente dovremo reinventare e ripensare tutte le esperienze on-site in modo da darne un valore e una percezione ancora più alta. Il rischio infatti sarebbe quello di perdere sostanza e profondità nella relazione che abbiamo con gli oggetti e con le persone.
Parallelamente sarà necessario comprendere l’importanza strategica del supporto digitale, e in particolare la potenza evocativa delle immagini e delle proiezioni video.
Una rinnovata attenzione al Workplace Design.
Molto spesso il concetto di workplace design è stato confusamente associato alla progettazione ragionata del layout di un ufficio. Allo stesso modo in queste settimane è stato erroneamente utilizzato da molti il concetto di smart working per descrivere quella che più banalmente è una modalità operativa di tele-lavoro.
Purtroppo la collettività non ha gli strumenti adeguati per poter approfondire molti di questi concetti.
Come accade nella ormai proverbiale confusione tra il concetto di stile e quello di design, si tende a confondere una conseguenza con il processo da cui è scaturita. Stile e design, lo sappiamo, non sono sinonimi. Semplificando potremmo dire che lo stile di un oggetto è una conseguenza dei processi design-oriented che lo hanno preceduto.
La responsabilità degli addetti del settore è quindi molto chiara: evitare in primis l’utilizzo superficiale di questi concetti, e in seconda battuta essere promotori di una corretta alfabetizzazione della collettività agli elementi basilari di questi stessi concetti.
Per riassumere il significato di smart-working possiamo dire che si tratta di un cambio di paradigma, che tende a sostituisce almeno in parte un rapporto di lavoro basato sulle ore lavorate con quello di un obiettivo di progetto. Non è importante dove e quando svolgo il mio lavoro, è importante che io raggiunga un obiettivo prestabilito in un tempo prestabilito. A questo proposito il tele-lavoro diviene la semplice conseguenza di un processo di smart-working.
Risolto questo equivoco, possiamo capire che il tele-lavoro può incidere in particolare nelle dinamiche abbastanza ristrette di un ambito che possiamo definire di Home-office, mentre i processi di smart-working hanno un impatto molto profondo in tutta l’architettura sistemica di un’azienda.
Lo smart-working entrerà sempre più preponderantemente nelle dinamiche aziendali, anche le più piccole, stimolando nuovi approcci di gestione degli spazi (open space, postazioni individuali, postazioni touch-down, phone booth, zone meeting informale, zone meeting istituzionali, zone relax, ecc.), ma soprattutto nuove dinamiche di relazione personale e professionale tra gli individui.
La fatturazione elettronica ha dato una spinta alla digitalizzazione delle imprese italiane. Questa crisi ci porterà ad estremizzare ulteriormente questo percorso, e i documenti amministrativi saranno sempre più de-materializzati per essere disponibili in cloud, cambiando inesorabilmente gli arredi che abiteranno i nostri uffici di domani, anche nelle piccole aziende.
Parallelamente il valore di alcuni documenti cartacei aumenterà. Cataloghi, campionari o altri supporti fisici e materici avranno sempre più importanza per creare empatia con i nostri interlocutori.
Detto questo, le settimane di crisi pandemica che stiamo vivendo, ci hanno fatto forse comprendere in modo più netto che il concetto di Workplace Design non è limitato ai soli uffici, ma si estende a tutti gli spazi dell’azienda, anche quelli di produzione industriale.
Gli spazi comuni (come ad esempio spogliatoi e ristoranti aziendali) e gli spazi operativi in cui si svolgono le mansioni manifatturiere avranno sempre maggiori attenzioni da parte di Imprenditori, Facility Manager e Progettisti.
Il Workplace design potrà finalmente mettere in campo tutta la sua potenza progettuale e delineare tutti i processi relazionali di un’azienda, dall’accoglienza dei clienti agli uffici, fino alle aree produttive.
La risposta non può che essere il design.
Un gigante come Giorgio Armani ha già dichiarato che interverrà rimodulando le collezioni per dare centralità alla qualità del prodotto, dei materiali, della manifattura, della profondità del progetto, a discapito della frenetica rincorsa alla novità.
“Weniger, aber besser”, il concetto di “meno, ma meglio” di Dieter Rams sarà forse il postulato sul quale potremo costruire una rinascita della produzione industriale di qualità.
Un nuovo capitalismo consapevole deve assolutamente utilizzare al massimo le tecnologie disponibili, ma non deve dimenticarsi del valore umanistico del fare impresa.
Serve uno slancio alla ricerca della combinazione perfetta tra valore tangibile e valore intangibile delle aziende.
Come coordinare tutti questi cambiamenti, per di più in una situazione di crisi che necessita rapidità e altissime capacità di problem-solving?
La risposta è nei processi design-oriented.
Immaginando uno scenario post-pandemico complesso ma propositivo, il compito degli Imprenditori, soprattutto di chi guida PMI e Micro Imprese, sarà quello di aprire le porte, senza pregiudizi, alle competenze olistiche del progettista.
Il compito dei Progettisti sarà invece quello di uscire dalla dinamica di prodotto/servizio per abbracciare convintamente la dinamica di processo.
Un po’ meno design fine a se stesso, insomma, e un po’ più Design Management.
Testo di Alessandro Barison.
Formatosi a Padova presso SID Scuola Italiana Design, dal 1997 è Socio e Consigliere Delegato di Emme Italia srl, micro impresa padovana che affianca alla produzione di tecnigrafi la produzione di arredi metallici per la scuola, l’ufficio, il contract.
Si occupa principalmente di Design Management e coordina le attività del laboratorio creativo aziendale: Designforyou Hub.
Dal 2016 fa parte del Direttivo ADI VTAA, Associazione per il Disegno Industriale, Delegazione Veneto e Trentino Alto Adige.
Didascalie
Foto in alto Alessandro Barison alla sua workstation domestica.
Nelle immagini alcuni prodotti di Emme Italia