Per far ripartire l’ufficio post-lockdown c’è bisogno di una turbina! Questa è l’idea dietro al nome Propeller Office, il termine inglese scelto da Unispace per la loro proposta di un nuovo modello di ufficio ibrido, in grado di fare propria l’eredità di compenetrazione tra casa e ufficio che ci ha lasciato l’esperienza corona virus. Il Propeller Office propone uno spazio ridimensionato fino al 20%, flessibile negli spazi e nelle presenze, gestito tecnologicamente e caratterizzato da tre ambienti principali che rispecchiano tre driver fondamentali : innovazione, problem solving e community. Ne abbiamo parlato con Elena Caregnato, responsabile design Unispace Italia.
“Propeller è un termine inglese che significa turbina, elica. È un concept che dà l’idea di movimento, di qualcosa che guarda avanti e al futuro. Lo abbiamo sviluppato per rispondere in modo concreto alle domande che i nostri clienti si stanno facendo in questo momento: è indispensabile per il mio business ritornare a lavorare in ufficio? Oppure qual è lo scopo oggi di avere un ufficio? Come cambierà il posto di lavoro nel post-lockdown?” Con queste parole Elena Caregnato, ci introduce a Propeller Office, il nuovo modello di ufficio ibrido pensato per il workplace post-lockdown.
Dalle più di 25mila interviste svolte da Unispace a livello globale è emerso che una delle maggiori conseguenze dell’esperienza del corona virus è stata quella del cambiamento di percezione dell’ambiente domestico come luogo di lavoro.
Non solo il 47% degli intervistati ha dichiarato che preferirebbe lavorare da casa 3 o più giorni, ma la casa risulta essere oggi l’ambiente di lavoro dove è possibile ottenere la maggiore concentrazione e dove anche la collaborazione e l’apprendimento sono possibili.
Prevedendo una minore occupazione continua degli spazi ufficio, il modello Propeller Office propone una soluzione “less space, better space” pensata per permettere non solo un risparmio di spazi (e di conseguenza di spesa da parte delle azienda), ma anche un maggior efficientemento dell’utilizzo degli spazi, attraverso la creazione di tre ambienti chiave: innovazione, problem solving e community.
“La parte di community comprende un ambiento di accoglienza, di welcome, con dei coffee e dei break, dove io posso incontrarmi in modo informale coi miei colleghi scambiare informazioni e opinioni. Tutta la parte di innovation racchiude il pool delle sale riunioni, di spazi riconfigurabili, flessibili che possono cambiare configurazione e numero di persone, spazi di brain storming e di team working.
E poi la parte più operativa che abbiamo nominato problem solving, perché abbiamo visto che il lavoro di concentrazione si può svolgere tranquillamente dalla propria abitazione, mentre oggi io vengo in ufficio per confrontarmi coi miei colleghi. Quindi sono spazi dove si possono trovare bench condivisi, di collaborazione, dove posso svolgere delle one-to-one con il mio collega per rivedere delle presentazioni o dei concetti prima di un meeting. Spazi di lavoro, ma collettivo”, spiega ancora Elena Caregnato.
Al centro resta il concetto di esperienza, inteso soprattuto come esperienza della brand identity: uno spazio dove sia i dipendenti sia i clienti possono “respirare” il carattere e i tratti identitari dell’azienda.
Infine, il modello si basa fortemente sull’utilizzo della tecnologia, non solo perché permette la gestione di uno spazio non assegnato attraverso applicazioni, ma anche perché consente di raccogliere dati e metriche che costituiscono elementi concreti e fondamentali per guidare il processo decisionale.
“Bisogna sicuramente fare un cost balance tra investimenti ed eventuali risparmi che si possono raggiungere attraverso la riduzione dello spazio operativo, a seconda anche della tipologia di azienda”, conclude Elena Caregnato.
“Bisogna investire nelle tecnologie che aumentino la connessione tra chi lavora in ufficio e chi lavora da casa, reagendo a questa nuova normalità progettando spazi e soluzioni flessibili e dando la possibilità di scegliere fra una varietà di spazi operativi in accordo con gli obiettivi futuri del proprio business”.
Testo di Gabriele Masi.