
La laurea in architettura al Politecnico di Milano –relatore il Maestro Achille Castiglioni– e tre anni di esperienza all’estero sono alla base dell’attività di Marcello Ziliani come industrial designer in vari settori dell’arredamento per molti importanti aziende, ma anche come art director, grafico, scenografo teatrale.
Come ci spiega in questa intervista esclusiva, il suo “way of designing” è fatto soprattutto di ascolto. Ama entrare in sintonia con il mondo, guardando le cose con occhi sempre diversi e lasciando da parte le sicurezze incrollabili. Requisiti indispensabili per operare in una situazione fluida dove ambiti diversi convergono in una dimensione olistica del progetto.
Che cosa caratterizza il tuo approccio progettuale nell’industrial design e come lo applichi in base alle diverse realtà produttive?
Continuo a trovare calzante una visione contenuta nel libretto che pubblicò su di me Corraini qualche anno fa in cui confrontavo leoni e camaleonti, affermando che leone no, non era il mio genere, camaleonte meglio. Trovo più divertente cambiare spesso d’abito (habitus), adattarsi alle situazioni, guardare le cose con occhi sempre diversi ed entrare in sintonia, parlare piano e soprattutto ascoltare, invece di ruggire sperando di sovrastare.
È questo il mio approccio al progetto, mi piace cercare di imparare ogni volta che mi confronto con nuove realtà, ascoltare le storie, annusare gli odori e assaggiare. Un progetto è figlio di mamma e papà e io credo di essere la mamma, con tutta la responsabilità e la fatica della gravidanza e la gioia (ma anche il dolore) del parto. L’azienda è il papà, che combina i suoi geni assieme ai miei e che poi prende per mano il progetto-bambino e lo conduce nel mondo. E come non ci sono due individui uguali credo non ci possano essere due progetti uguali, anche se ovviamente i caratteri di famiglia si notano, eccome… o almeno dovrebbero.
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Da anni lavori in diversi settori del design: emergono nuovi stili di vita e nuove esigenze da parte degli utenti?
La figura del progettista si trova, per definizione, in una situazione privilegiata e rischiosa, osservatore e allo stesso tempo attore nel vortice dei cambiamenti di modalità, abitudini, gusti ed esigenze. Io, per sicurezza, tengo sempre ben presente la legge di Lavoiser (morto ghigliottinato, accidenti), quella che dice che nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Mi permette di non farmi prendere dall’ansia, di mantenere la giusta prospettiva di fronte a cambiamenti che sembrano ogni volta rivoluzioni copernicane. In modo di poterli guardare con stupore e curiosità, senza la pretesa di comprenderli o cavalcarli, ma con il desiderio di coglierne almeno qualche spunto per poter nutrire il mio operare quotidiano. Credo che la cosa più significativa che sta avvenendo oggi sia una mutata consapevolezza da parte di tutti noi che siamo utilizzatori di beni, oggetti, servizi, e cioè il fatto che in qualche modo non ci sentiamo più consumatori passivi orientati dall’alto ma possiamo avere qualche voce in capitolo nel progetto stesso degli oggetti che andremo d utilizzare.
La figura del prosumer non è solo l’ennesima parola macedonia inglesizzante (professional-consumer e/o producer-consumer) ma l’affascinante possibilità di assumere un ruolo più attivo nel processo che coinvolge le fasi di creazione, produzione, distribuzione e consumo (garantisco a questo riguardo che questo testo è completamente privo di olio palma). Lo human centered design (non con questo nome ma me lo insegnava già Achille Castiglioni al Politecnico una trentina di anni fa), e il design thinking sono in qualche modo un approccio onesto alla complessità con la quale ci dobbiamo confrontare e una modalità seria per dare risposte a domande correttamente poste.
Ci sono “contaminazioni” concettuali ed elementi in comune tra i diversi settori di progetto nei quali operi?
A questo punto non so se sia solo una questione di contaminazioni quanto invece di annullamento di confini. Tutto sta diventando fluido e mutevole, gli ambiti e i riferimenti con i quali eravamo abituati ad operare stanno perdendo di senso per convergere in una dimensione sempre più olistica del progetto. Non esistono più ambiti autonomi, la cucina entra in soggiorno, il bagno in camera, il soggiorno in ufficio, l’ufficio in casa. L’IOT, internet delle cose, pervade ormai tutto e modifica modalità e comportamenti, innescando contaminazioni e nuove modalità di fruizione degli oggetti.
Illuminazione e sistemi di controllo, musica e benessere acustico, riscaldamento e isolamento, automazione ed elettronica, tutto si fonde e si combina in configurazioni inedite abbattendo barriere e aprendo nuovi scenari e affascinanti prospettive.
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Quali cambiamenti si sono verificati nella visione di ufficio negli ultimi anni e come questi cambiamenti si rispecchiano nei nuovi prodotti?
Mi sembra che il mondo dell’ufficio sia, in termini di radicalità dei cambiamenti in atto, secondo solo a quello dell’illuminazione dopo l’arrivo del led.
Ma mentre per l’illuminazione si tratta fondamentalmente di una innovazione tecnica che ha indotto un profondo ripensamento della dimensione formale e funzionale degli apparecchi illuminanti (e siamo solo agli inizi), per il mondo dell’ufficio credo che il cambiamento sia fondamentalmente culturale. Come negli altri ambiti anche qui si stanno verificando fenomeni di contaminazione e ibridazione profonda, e la cosa è particolarmente percepibile a causa della tradizionale rigidità di questo mondo. Per anni le mutazioni sono state prevalentemente di ordine tecnico-meccanico, il confort e l’ergonomia l’hanno fatta da padroni riducendo spesso il progetto alla ricerca di caratteristiche prestazionali. Oggi, finalmente, si assiste a tutta una serie di fenomeni che, per assurdo, mi ricordano tanto le donne che bruciavano in piazza il reggiseno o i figli dei fiori che mettevano margherite nelle canne dei fucili dei poliziotti.
Lavorare in piedi discutendo attorno a un tavolo regolabile in altezza, chiudersi in meditazione con il proprio tablet-feticcio dentro a un bozzolo confortevole che ti isola dal resto del mondo rumoroso e caotico, partecipare a riunioni seduti o meglio ancora adagiati su divanetti, tappeti, pouf sorseggiando tisane, condividere spazi di lavoro temporanei con altri professionisti creando aggregazioni e connessioni mutevoli e casuali, giocare, saltare, correre o pedalare mentre si lavora… forse si sta anche un po’ esagerando, ma è certo tutto molto stimolante e ricco di opportunità per sviluppare nuovi progetti che sappiano cogliere e interpretare questi cambiamenti e queste sfide.
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1, Pannello fonoassorbente Snooze per Pedrali.
2, Libreria illuminante Twist&Light per Natevo.
3, Scala pieghevole Flo per Magis.
4, lampada Tilee per Flos.
5, Poltrona “light office” Cookie per Infiniti.
6,Sedia Mammamia per Opinion Ciatti.
7; Tavolo Acacia per Calligaris.
8, Sedia Mini per Parri.