L’architetto Arianna Palano, Team Leader e Associate de Il Prisma, ci parla di nuovi uffici di Aon a Milano, sette piani di esperienze tra creazione, socializzazione, sostenibilità e benessere. Il workplace, progettato con la cosiddetta metodologia Therapy si pone come una casa aperta pronta a riaccogliere dipendenti e clienti grazie ad un modo tecnologico di gestire lo spazio e un’evoluzione smart working già avviata in epoca pre-pandemica.
Il nuovo headquarter milanese di Aon è uno spazio disegnato come una “casa aziendale”, un posto dove idealmente tutti vogliono andare a lavorare, che offre ai dipendenti e ai clienti, a cui è dedicato l’ultimo piano (simbolicamente il più importante) diverse esperienze sensoriali e di brand identity.
La progettazione dell’headquartes di Aon segue il vostro modello di progetto chiamato Therapy. In cosa consiste?
Abbiamo dato questo nome per raccontare una fase di ascolto del cliente. Abbiamo chiamato la nostra business unit Worksphere perché volevamo descrivere attraverso questo nome tutto quello che è il intorno al mondo del lavoratore. Una vera e proprio sfera di racconto intorno al dipendente, in quanto essere umano. È necessario però comprendere anche le aziende, le loro necessità, esigenze e come vogliono raccontare il brand. La therapy è quindi un processo di ascolto strutturato attraverso un’indagine sia di tipo qualitativo sia quantitativo che a noi serve per strutturare un concept unico e tagliato su misura per l’azienda.
Come avete portato avanti questo modello con Aon?
Nel caso di Aon abbiamo portato avanti un lavoro iniziato nel 2016 e abbiamo fatto diversi incontri con il top management, manager di altro livello e brand ambassador, a cui è dedicata principalmente la fase qualitativa. La fase di survey, volontaria e anonima, è invece destinata a tutta l’azienda e termina con un debriefing finale per promuovere un coinvolgimento di tutte le persone. Una terza fase è quella dell’osservazione: è interessante notare come non sempre il percepito e il reale corrispondo.
Che cambiamenti vi aspettate dopo il corona virus?
Avendo fatto un percorso di ascolto, che valeva pre e post pandemia, Aon è stata fortuna da un certo punto di vista, perché adesso gli spazi che erano stati pensati danno supporto ad una experience che era voluta dall’azienda. Ad esempio in ambito tecnologico, legata alla sostenibilità, alla biofilia, ma anche al collegamento dei 7 piani del nuovo building. La domanda era: come manteniamo compatto un team se lavora su più livelli? Ogni piano quindi ha un nome legato ad un diverso concept che l’azienda voleva esprimere e racconta quindi una cosa diversa. Questa experience che cambia da piano a piano incuriosisce e favorisce il passaggio tra diversi piani per andare a trovare un collage e vivere un’esperienza diversa dello spazio.
Un’esperienza fisica connessa anche alla tecnologia?
Questo progetto è stato pensato per andare oltre le tre classiche dimensioni architettoniche. Aon ha un’app che ti aiuta a vivere in maniera semplice la tua giornata lavorativa che è stata progettata insieme allo spazio da un’altra azienda, Kiwi. Senza di essa lo spazio non avrebbe avuto lo stesso effetto di fruibilità e flessibilità.
Quali sono gli spazi più significativi all’interno dell’Headquarter di Aon?
Ad esempio l’help desk, dove vai a consultarti se hai problemi con il tuo computer, si trova in un piano progettato similmente ai negozi della Apple, dove trovi uno spazio aperto, un bar accogliente e tecnologico. Racconta più un’esperienza che un servizio.
Abbiamo lavorato anche sulla hall di ingresso, che ospita anche tanti salottini di incontro con diversi gradi di privacy, perché è fin da lì che l’esperienza del cliente ha inizio. Nasce in maniera molto forte legata al brand perché abbiamo giocato con il logo: abbiamo rielaborata la A di Aon e proposta come linea progettuale. Una lobby molto chiara, pulita e bianca.
Il piano, però, che mi ha maggiormente colpito e che piace di più ai dipendenti è quello disegnato per il futuro sostenibile. Abbiamo deciso di non scegliere piante vere, ma materiali che ti riportano ad un’idea di verde, attraverso immagini, colori, moquette, luci. Un altro ambiente è la library, dove ognuno porta il suo libro: l’idea è quella che il libro diventi parte del progetto. Si può respirare un’aria diversa in quell’ambiente, un momento misto tra la socialità e una pausa personale che ti dedichi.
Infine l’ultimo piano, prima dedicato al top management e oggi dedicato ai clienti. Uno dei focus del progetto è stato infatti proprio la client experience. Il tema è quello della casa Aon, un ufficio aperto ancora di più: qui un cliente può affittare uno spazio, lavorare con noi e respirare la nostra atmosfera. All’ultimo piano troviamo quindi anche un piccolo cinema e un ristorante/bar, degli ambienti più caldi e calorosi.
I progetti futuri puntano quindi verso una grande apertura?
Dipende dall’apertura. Stiamo parlando di un’apertura più mentale che fisica, che comprenda i motivi personali e fondamentali che guidano la giornata di ognuno di noi. Alcuni trend li abbiamo compresi, ma tutto il tema del mentoring e della collaborazione sono stati molto trascurati. Le social area sono i luoghi dove il know how dell’azienda è trasmesso ai dipendenti. Però, per lavorare su questo attraverso gli spazi, devo prima comprendere qual è il tuo know how. L’ufficio non sparirà, soprattutto perché l’azienda ha bisogno di rappresentarsi in un luogo fisico e l’essere umano, fortunatamente, ha bisogno di incontrarsi.
Testo di Gabriele Masi.