
Dall’ultima survey “Good days at work” condotta da Woohoo Inc–Happiness at Work su una popolazione di 2.500 persone in tutto il mondo, è emerso che un lavoratore su tre è felice al lavoro quasi tutti i giorni.
Uno su cinque dichiara invece di avere “mai o molto raramente” giornate felici al lavoro.
Se da una parte questi dati sono incoraggianti, ci troviamo ancora di fronte ad un 22% di persone che in un mese sperimenta solo 1 o massimo 3 buone giornate al lavoro, ossia l’80-90% della vita lavorativa di queste persone è piatta o negativa.
Costruire happy workplace è possibile ma è necessario capire cosa s’intende davvero per felicità: Daniela Di Ciaccio di 2BHappy Agency lo spiega e cerca di sfatare qualche mito in questo secondo articolo della rubrica Felicità nel Workplace.
I dati dell’indagine di Woohoo sono in linea con le survey di Gallup che da qualche anno evidenziano come in tutto il mondo e anche in Italia, la percentuale di chi si dichiara davvero “coinvolto” nel proprio lavoro è pari solo al 13% (a fronte di un 63% di non motivati e a un 24% di lavoratori che addirittura “remano contro”).
Per molti di noi, quindi, recarsi ogni giorno al lavoro è faticoso e deprimente!
Scadenze, pressione quotidiana sugli obiettivi, capi insensibili, colleghi odiosi, carichi eccessivi e quella fastidiosa sensazione che poi, in definitiva, il nostro lavoro non serva a nulla.
L’indagine di Woohoo definisce così la “giornata felice”:
“Una buona giornata di lavoro è quella in cui ti senti benissimo sul posto di lavoro. Sei felice al lavoro e hai sicuramente voglia di avere più giorni di quel tipo”.
Eppure invertire la rotta e costruire luoghi di lavoro in cui le persone sono felici è possibile ma a patto di sfatare qualche mito su cosa s’intende davvero per felicità e cosa rende quindi davvero felici le persone al lavoro, per evitare di cadere nella trappola di percepiti derivanti dal senso comune e ben rappresentati da alcune “obiezioni realistiche” che ci vengono sempre sollevate quando raccontiamo che si può essere felici al lavoro, in ogni tipo di lavoro.
Le obiezioni più ricorrenti sono:
“Certo che si può essere felici al lavoro, dammi 100.000€ l’anno e vedrai come sarò felice”, oppure “Quando mi daranno quel ruolo che merito o otterrò quella promozione allora sì che sarò felice”…
Forse vi siete riconosciuti in queste affermazioni, forse siete professionisti che si occupano di motivare le persone e vi siete imbattuti in risposte come queste anche voi. Beh, è arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza e provare a capire, studi e applicazioni alla mano, cosa c’è davvero all’origine della felicità al lavoro.
Mito #1: i soldi fanno la felicità, fino ad un certo punto..
Le ricerche su felicità e reddito hanno dimostrato che la soddisfazione aumenta in relazione all’aumento dei guadagni, ma fino ad un limite di circa 75.000 $ all’anno.
(Fonte: T. Jebb, L.Tay, E. Diener, S. Ohishi, Happiness, income satiation and turning points around the world, 2018).
Superata questa soglia l’equazione “più soldi = più felicità” non funziona più.
Il motivo di questa correlazione tra felicità e reddito nell’ambito di questa soglia dipende dal fatto che con questa disponibilità economica siamo effettivamente in grado di coprire e soddisfare tutti i bisogni e le spese fondamentali, quindi evitare alcune delle principali e più pesanti fonti di ansia e stress legate alla vita quotidiana (pagare il mutuo, le bollette, le tasse scolastiche etc..).
Mito #2: più ferie faccio più sono felice?
Un maggior numero di giorni lontano dall’ufficio aiuta solo se detestiamo il lavoro che facciamo. E comunque anche se amiamo il nostro lavoro, la soddisfazione collegata alle “vacanze” è relativa. Gli esseri umani si abituano a tutto, anche alle ferie, quindi il livello generale di felicità non aumenta, anzi.
“Il dramma dei lavoratori di tutto il mondo (inclusi i manager) è incarnato dal personaggio fittizio di Melly Shum, una donna che ha odiato il suo lavoro per 25 anni. Melly è rappresentata su un grande manifesto a Rotterdam seduta alla propria scrivania che guarda verso la fotocamera con un sorriso sottile. Non ha mai abbandonato il suo lavoro dal 1990 (ad eccezione di una breve vacanza nel 2013 perché il suo ufficio era in manutenzione). Questa donna è il simbolo d tutti i lavoratori demotivati e infelici ma che non si sentono pronti ad abbandonarlo. Secondo diverse indagini questa situazione riguarda i 2/3 della forza lavoro globale. Il vero motivo per cui le persone soffrono al lavoro è perché non si alzano in piedi e dicono “non sopporterò più questa situazione; vai a comandare te stesso”. Arreca sempre dispiacere, quando chiedo alle persone quali sono stati i momenti preferiti della loro vita, sentire una lista di cose che afferiscono solo alla sfera privata. Ma se le tue esperienze migliori sono le vacanze, forse è il caso di non tornare al lavoro domani” ( Fonte: Appelo J. (2016), Managing for Happiness: Games, Tools, and Practices to Motivate Any Team, John Wiley & Sons Inc).
Mito #3: fare carriera rende felici, solo per poco!
Alcuni psicologi hanno monitorato dei top managers per cinque anni, misurando la loro soddisfazione prima e dopo ogni cambiamento lavorativo. Sorprendentemente, nonostante ci fossero stati picchi elevati di soddisfazione nel momento di passaggio ad un nuovo lavoro, nel giro di un anno il livello è crollato drammaticamente.
In altri termini, i managers avevano sperimentato i tipici “postumi di una sbronza di felicità”, mentre i colleghi che non avevano avuto cambiamenti lavorativi registrarono piccole variazioni nel loro livello generale di soddisfazione.
Cosa funziona veramente?
Per rispondere a questa domanda il primo e fondamentale step da fare è distinguere il concetto di soddisfazione al lavoro da quello di felicità, perché diversi sono anche i risultati che producono in termini di motivazione, engagement e produttività.
La soddisfazione al lavoro è cosa pensi del tuo lavoro. La felicità al lavoro è come ti senti al lavoro. La prima è il frutto di una valutazione razionale, l’altra afferisce ad un’esperienza emotiva.
Provate a chiedervi: cosa mi renderebbe felice al lavoro domani?
Molti di noi probabilmente risponderebbero: più soldi, più tempo a disposizione, meno riunioni, la mensa, orari flessibili, etc…
Quando invece chiediamo alle persone: cosa ti ha reso felice al lavoro nell’ultima settimana?
Le risposte che danno ruotano su tre fattori: le buone relazioni con colleghi e capi; la realizzazione di risultati che hanno un senso per se stessi e per gli altri, cioè la percezione di aver contribuito a fare una qualche differenza; la possibilità di mettere se stessi nel proprio lavoro e influenzare le attività che si svolgono, ossia un certo livello di autonomia.
Soddisfazione e felicità producono risultati differenti sulla motivazione e sulla performance: puoi essere soddisfatto del tuo lavoro – perché i benefits che l’azienda ti offre rispondono ai tuoi bisogni di stabilità, sicurezza e anche di status e riconoscimento – ma non sentirti coinvolto ed ingaggiato, perché ti senti un mero esecutore di compiti stabiliti e controllati da qualcun altro, perché l’ambiente relazionale è tossico e competitivo oppure perché il lavoro (i prodotti e i servizi che l’azienda offre) è privo di un significato più profondo che va oltre l’individuo o il profitto fine a se stesso.
E attenzione anche al contrario, i lavoratori felici si sentono motivati nel prestare il loro contributo all’organizzazione nella quale operano, fanno di tutto per dare il loro meglio e rendere tutti gli stakeholder felici.
Ma quando un lavoratore felice non è soddisfatto dovremmo stare attenti: è come se sventolasse una bandiera rossa, un segnale di allerta per una possibile situazione di burn out derivante dal dare tutto se stesso ignorando i propri bisogni.
Le ricerche dimostrano che per ottenere vero e sano engagement bisogna assicurare sia la soddisfazione di bisogni economici, di status e di carriera ma soprattutto la felicità, che deriva da un lavoro con uno scopo chiaro e che dà senso a ciò che realizzi, in cui ci sia autonomia decisionale e un contesto di relazioni sane e di fiducia (Fonte: A. Kjerulf, (2017), Leading with Happiness, Woohoo Press, e Laloux F. (2016), Reinventare le organizzazioni. Come creare organizzazioni ispirate al prossimo stadio della consapevolezza umana, Guerini Next).
“La vita è troppo breve per passarla a fare lavori che non amiamo” come afferma Jurgen Appelo.
Testo di Daniela Di Ciaccio, 2BHappy Agency.
Foto in apertura tratta da OutPlace Yourself;
infografiche tratte da “Good days at work” © Woohoo.