
Si è svolta nella splendida cornice di ADI Museum a Milano la prima, conviviale tavola rotonda della sezione WOD Italia (Women in Office Design) intitolata “Great Expectations with the Great Return” organizzata in collaborazione con WOW! Webmagazine e sponsorizzata da Sedus Italia e Universal Selecta.
Le menti femminili di 15 importanti studi di progettazione hanno condiviso le proprie idee su uno dei temi attualmente più caldi: il ritorno al workplace post pandemico.
Come le aziende stanno incoraggiando i propri dipendenti al ritorno in ufficio? È possibile cambiare il concetto di ufficio: da spazio in cui i dipendenti devono essere a luogo in cui desiderano essere?
Abbiamo cercato di riflettere insieme e trovare delle risposte. Il report che segue è una sintesi dei principali concetti emersi.
Certamente è stata vincente e stimolante per il dibattito la scelta di riunire in questo vivace light lunch un numero contenuto di progettiste e professioniste dell’office design, operanti in studi di architettura di varie dimensioni, società multinazionali di progettazione integrata e società globali di servizi immobiliari.
Questa varietà ha permesso di mettere a confronto esperienze e punti di vista molto diversi -talvolta contraddittori- e di avere uno scenario rappresentativo della realtà italiana fatta non solo di grandi aziende ma soprattutto di piccole e medie imprese, colte alla sprovvista dalle trasformazioni imposte dal covid e ancora non pronte – né culturalmente né sotto il piano tecnologico e organizzativo- al “vero” cambiamento verso il “vero” smart working.
Emerge quindi una realtà complessa, non omogenea, talvolta caotica, con approcci e scelte sicuramente non generalizzabili di fronte alla necessità di dare risposte concrete al “Grande Ritorno”, in realtà un “Secondo Grande Ritorno” con aspettative più alte da parte dei dipendenti che spesso vengono deluse.
Se il primo ritorno in ufficio, dopo l’ondata pandemica più drammatica e il lock down, è stato vissuto da tutti con entusiasmo come una possibilità per uscire dall’isolamento e tornare a alla vita sociale, oggi i lavoratori hanno avuto tempo di elaborare questa esperienza, hanno scoperto che anche l’home working ha i suoi vantaggi e hanno bisogno di trovare altrettanto validi motivi che giustifichino la necessità di tornare in ufficio.
Per esempio si è riscoperto il valore della famiglia e dei rapporti con i coinquilini, l’importanza di gestire il tempo in modo autonomo; con un conseguente rifiuto di tempi lunghi sprecati nel tragitto casa/ufficio.
Soprattutto sono cambiate le priorità. Seppure con percentuali più basse rispetto ad alte nazioni, anche l’Italia sta vivendo il fenomeno YOLO e soprattutto le giovani generazioni hanno obiettivi diversi che vanno ben oltre il work-life balance: crescono le attività free lance, le start-up.
Pur apprezzando il valore del lavoro in team, questo tipo di lavoratori – di talenti- nativi digitali, cresciuta con una visione di smart living, ha obiettivi diversi, non può accettare la vecchia idea di lavoro coercitivo, basato sul controllo anziché sulla fiducia; sulla quantità di tempo anziché sui risultati ottenuti.
Molto dipende dalla posizione che si copre e dal tipo di ruolo, ma anche le older generation si pongono qualche interrogativo o chiedono il prepensionamento…
Come si organizzano le aziende al grande ritorno?
E’ indispensabile fare una distinzione tra chi, già prima della pandemia applicava lo smart working o quanto meno aveva avviato questo percorso e le aziende che lavoravano in modo tradizionale.
Tra queste ultime anche molte grandi aziende che, sopraffatte dal tornado dello smart working ora non sanno in che direzione andare, in molti casi continuano a procrastinare di mese in mese il fatidico Grande Ritorno.
Oppure tornano al passato negando ogni cambiamento organizzativo (in particolare le piccole aziende familiari e gli studi professionali) imponendo cartellino e h 9/17. Il fatto curioso è che quasi tutte queste aziende (con uffici da 300/400 mq) ritengono comunque necessario che i propri uffici siano “più belli” e chiedono l’intervento dei progettisti per riqualificarli, renderli più accoglienti e più moderni.
La necessità di cambiare gli spazi deriva dalla consapevolezza che si tratta di una utile leva per attrarre le persone, quello che ancora non è stato elaborato è che – per funzionare- il cambiamento dello spazio deve riflettere il cambiamento organizzativo.
Molte aziende si trovavano di fronte a questa urgenza, ma senza un progetto organico. E il rischio di un cambiamento veloce, senza avere fatto il corretto percorso, è che si traduca in un insuccesso.
Smart Working o Smart Washing?
I problemi sono meno gravi per le aziende che applicano il vero smart working da anni.
Però per tutti è ormai chiaro che togliere completamente l’autonomia avrebbe risvolti negativi sull’engagement, quindi la maggior parte delle aziende (anche alcune banche che sono state le più restie al cambiamento) sembra si stiano orientando, in modo piuttosto semplicistico, al rientro in ufficio su base 2/3 giorni alla settimana. E’ però consistente anche il numero di imprese che permette solo 1 giorno alla settimana in modalità da remoto.
Questa scelta (può funzionare?) solleva alcuni inconvenienti, primo tra tutti il cosiddetto “picco del mercoledì” con uffici ultra-popolati nei giorni centrali della settimana e vuoti nei giorni vicini al week end. Non permette di ottimizzare lo spazio e probabilmente nemmeno di motivare il dipendente.
Va detto che la legislazione italiana e la cultura del management più diffusa certo non facilitano soluzioni più fluide.
Per le grandi aziende corporate il driver principale verso lo smart working è la razionalizzazione del patrimonio immobiliare con una revisione degli spazi per renderli più efficienti e per ridurre i sempre maggiori costi gestionali.
Per le aziende di piccole dimensioni questo driver non è così forte, ma finalmente cominciano a capire che cosa sia lo smart working, anche se non non per tutti è chiare che applicare i nuovi ways of working significa però attivare il change management, coinvolgere e accompagnare le persone in questo cambiamento.
Il desiderio di un luogo di lavoro vicino a casa è tra i primi nelle richieste dei dipendenti e in questo panorama sfaccettato è interessante notare una tendenza in fieri nelle esigenze dei fondi immobiliari che nei nuovi complessi residenziali richiedono anche uno spazio Office.
Il Italia siamo ancora lontani dai Club & Hub diffusi nelle periferie di molte città estere, eppure comincia prendere corpo l’ipotesi di micro-workspace da poco più 20 mq oppure pop-up office attrattivi con spese basse di gestione e un’assistenza tecnica web, da prendere in affitto per incontrare i clienti a 10 minuti di distanza da casa.
Si possono pensare anche utilizzi più fluidi per il workplace: spazi dove convivono la scrivania e le aree informali per lavorare, ma che nelle ore serali cambiano destinazione e diventano luogo per bere una birra insieme agli amici .
Il modello “workplace per start-up” con la compresenza di più aziende si dimostra valido anche per le grandi corporation perchè il confronto, in particolare con le giovani generazioni, si è dimostrato stimolo e fonte di innovazione.
Alcuni istituti bancari hanno adottato soluzioni miste con dipendenti in smart working per metà settimana e spazi di rappresentanza, belli e accoglienti con mood informale, in centro città che accolgono al 50% i dipendenti e anche i clienti. per attività di aggregazione temporanee.
In questi casi è evidente che i cambiamenti principali riguardano il progetto dell’involucro architettonico, più che l’interior design.
La collaborazione è un valore di cui tenere conto?
La visione YOLO e i vantaggi dell’home working sembrano prendere il sopravvento su una visione più collaborativa del lavoro.
E’ vero che i millennials sono più abituati a impegnarsi anche da soli e sanno gestire meglio il proprio lavoro in modo autonomo, eppure lo scambio di esperienze è indispensabile; i giovani hanno bisogno di fare anche esperienza sul campo, per formarsi devono lavorare anche con chi ha già fatto esperienza.
Il lavoro da remoto dovrà sempre essere accompagnato anche da luoghi per interagire e da spazi progettati per rispondere al meglio a questo scopo.
Come va progettato il workplace post-pandemico?
Dunque si conferma sempre più la tendenza a identificare l’ufficio come luogo per incontrarsi e per collaborare; se non c’è necessità di interagire il lavoro può essere svolto in remoto.
Questo cambia il concetto architettonico del workplace , ma cambia anche l’approccio dell’interior design.
Finalmente le aziende hanno capito che l’ufficio deve essere bello e sono disposte a investire qualcosa in più per l’ambiente fisico.
Lo spazio per i nuovi ways of working deve permettere la massima flessibilità -oraria e funzionale- e diventare fruibile alle tre diverse generazioni checondividono uno stesso ufficio in questo momento. Far sentire il senso di appartenenza al brand a tre diverse generazioni è una grossa sfida per il progettista.
Non è possibile imporre una fruizione unica dello spazio. E non è più attuale il modello Activity Based Working: lo spazio non va più progettato sull’attività, ma sulla persona e basato su standard qualitativi (People Based Working).
Gli uffici realizzati anche solo 5 anni fa non vanno più bene: troppi divani e aree inutilizzate, pochi piani di appoggio per il personal computer.
Il “picco dei 3 giorni” e l’obiettivo di favorire la collaborazione impattano fortemente sulle logiche del layout che non può più basarsi sulle regole di sharing applicate fino ad ora.
Il lavoro ibrido impatta soprattutto sui luoghi per collaborare e sulla concezione delle sale riunione che diventano luoghi ad alta tecnologia: anche senza arrivare agli estremi dell’ologramma, il tavolo rettangolare con le persone in presenza va sostituiti con piani di lavoro con forme che permettano l’interazione di persone in presenza e di soggetti terzi in remoto che devono prendere parte attiva tramite schermi touch screen e monitor interattivi.
Ma l’obiettivo principale per attrarre le persone e stimolare il Grande Ritorno è far stare bene le persone, con un approccio che va oltre i criteri di ergonomia e di wellness applicati fino ad ora. Si tratta anche di creare la brand experience, di far vivere la cultura aziendale attraverso lo spazio fisico, il design, il colore e i materiali. Per questo la figura di rifermento che può dare le indicazioni nei progetti è sempre più l’HR manager.
I progetti migliori si realizzano quando le indicazioni da parte dell’azienda sono chiare. Ma quando la chiarezza manca è compito del progettista elaborare interviste, check list e anche intuire esigenze non espresse per dare suggerimenti.
Ci troviamo di fronte a cambiamenti concettuali nell’approccio al workplace che equivalgono alla rivoluzione attuata dal Burolandschaft negli anni ’60 e traducono nello spazio una nuova filosofia del lavoro.
Affinché l’ufficio sia davvero attraente il progetto deve significare “prendersi cura” del dipendente, immaginare il workplace come un “viaggio”, un’esperienza che trasmettere sorprese, emozioni positive, incontri stimolanti, momenti di benessere che altri luoghi non possono equiparare. Disegnare spazi che non riguardano solo le dimensioni fisiche ma anche quelle mentali e psichiche.
Qui entrano in campo anche nuove frontiere della progettazione legate alle neuroscienze e alla neuro estetica, alla psicologia (pensiamo per esempio al diverso comportamento delle persone introverse o estroverse che entrano in una sala riunione), alle conoscenze scientifiche (per esempio i cicli circadiani, la percezione sensoriale, l’ergonomia cognitva) che possono dare suggerimenti progettuali per il layout, l’illuminazione, i colori, le texture dei materiali.
Il settore retail da tempo sta già applicando questi metodi progettuali, finalizzati ovviamente ad aumentare il desiderio di acquisto.
Su questo argomento si apre un nuovo argomento di discussione: qualcuno parla di “manipolazione” attribuendo un valore morale a questi metodi, altre invece sostengono che non ha senso scandalizzarsi se si utilizzano consapevolmente queste conoscenze scientifiche per indirizzare e stimolare le persone, per modificare il tempo e l’approccio a uno spazio con l’obiettivo di far stare bene chi lo vive (un approccio che Sedus definisce Benessere Produttivo) perchè sarebbe ingenuo negare che il progetto di un ambiente di lavoro ha come fine ultimo la produttività.
Il tema resta aperto e sarà forse argomento da trattare in un prossimo WOD Lunch.
Testo a cura di Renata Sias
Si ringraziano per il loro contributo i partecipati al WOD Lunch:
Stefania Vacquin, 967 Arch
Maria Luisa Daglia, Agilite Solutions
Shelly Ben David, Base Interiors
Carlotta Zucca, Caccia Dominioni Zucca
Francesca Fattiboni, D3 Architetti Associati
Alessandra Radice, D3 Architetti Associati
Lisa Bricarello, E45
Lauren Thompson, Flokk
Silvia Impelluso, JLL
Lorena Iraldi, Paloma Architects
Katia Gentilucci, Progetto CMR
Licia Micolitti, Progetto CMR
Cristiana Cutrona, Revalue
Lorenzo Maresca, Sedus
Francesco Riva, Sedus
Piera Scuri, Spazio
Mariangela Frisardi, Storage Milano
Elena Caregnato, Unispace
Marco Predari, Universal Selecta
Renata Sias, WOW Webmagazine