
“Dovremmo portare i manager a ragionare ibrido, ad immaginare l’ibrido”. Roberto Battaglia, HR Leader of Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo, ci parla di come l’esperienza fisica di Hive, vincitore del Copernico SmartPlaces Award 2018, abbia costituito non solo uno step fondamentale per ripensarsi durante il periodo dell’emergenza, ma anche per riflettere sull’utilizzo della tecnologia, disegnando stanze virtuali che non si limitano ad una tradizionale interazione mediata dal video, ma permettono un nuovo tipo di interazione efficace, basata su una gestione del flusso conversazionale anche asincrona e sul rapporto tra urgenza e invasività dello strumento.
Dopo avere intervistato nel 2018 Roberto battaglia sul progetto pilota “Hive – Il futuro al lavoro” incontriamo nuovamente il Responsabile della Direzione Personale della Divisione Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo per capire come questo workplace è stato ripensato a causa della pandemia.
Nel 2018 aveva definito Hive, “una piattaforma che costituisce un nuovo patto tra l’azienda e le persone”. Come si è costruito questo patto durante il l’emergenza corona virus?
Quell’esperienza che aveva coinvolto 150 persone inizialmente e che poi abbiamo allargato alla divisione e al building è risultata preziosissima in questa fase di gestione della pandemia. Già allora non si trattava solo di un approccio agli spazi ufficio, ma di un patto che tendeva ad altre tre dimensioni: tecnologie, processi e comportamenti. Durante la pandemia, abbiamo dovuto anche noi remotizzare tutto, ma il focus principale è stato sui meccanismi e sui processi abilitati dalle tecnologie, e sui comportamenti delle persone. Al di là dello spazio fisico, che è diventato prettamente lo spazio domestico, questa situazione ha portato una nuova attenzione all’interazione tra le persone, e ad una nuova flessibilità ed autonomia. C’è una parola che continua a guidare: fiducia. Anzi, una fiducia portata al quadrato, al cubo!
Hive è stata un’esperienza interessante perché al momento del lockdown eravamo mentalmente attrezzati.
Quali sono stati gli effetti collaterali di questa esperienza?
L’aspetto più critico è che si vive costantemente collegati, mediamente le pause sono più brevi, e si crea una situazione quasi di intossicazione. La call è un mezzo semplice e democratico, ma è una modalità che produce effetti collaterali, nel senso che non c’è più un momento per pensare e per dividere una dimensione lavorativa e personale. Quello che abbiamo fatto è favorire un ripensamento costante dei processi, promuovendo, allo stesso tempo, comportamenti di vita più virtuosi. Al di là della drammaticità della situazione che abbiamo vissuto tutti, ci sono tantissime lezioni che stiamo apprendendo e che saranno utilissime nella nuova situazione.
Intervista a Roberto Battaglia sul progetto Hive, 2018
Quali lezioni ad esempio?
Se, da una parte, lo spazio fisico è rimasto sullo sfondo, perché con la pandemia non ha avuto modo di esercitare il suo ruolo, dall’altra se c’è uno spazio che noi stiamo riprogettando costantemente è quello virtuale. Abbiamo lanciato uno stream progettuale per creare dei mondi ibridi, dal momento che il 50% delle persone solo può rientrare in presenza. Come governiamo allora questo?
Nel momento in cui siamo andati in lockdown la stanza era quella virtuale, ma continuava ad essere usata in maniera tradizionale. Ora, in una situazione ibrida, in cui il responsabile avrà una parte in presenza e in assenza, come gestire questa differenza?
Abbiamo notato che prima chi era a distanza, rischiava di rimanere sullo sfondo e la discussione privilegiava chi era all’interno della stanza fisica. Così, abbiamo iniziato a disegnare degli spazi ibridi, ma in modo che tutti i livelli di importanza fossero gli stessi.
Come dovrebbe essere disegnato uno spazio virtuale per il lavoro ibrido?
Innanzitutto, non è solo il video, ma un ambiente di collaborazione ricco. Con il lockdown tutti hanno scoperto della tecnologia che più o meno esisteva da tantissimo tempo, ma molti l’hanno ridotta solo al canale video. In realtà il canale video non è la cosa più importante. Durante questa intervista, noi stiamo facendo un’operazione sincrona basata sul video in cui ci stiamo scambiando informazioni: è una interazione classica. Ci stiamo scambiando informazioni e qualcuno prende appunti. Non è una modalità intelligente. Ciò su cui dobbiamo basarci è la gestione asincrona flusso di conversazione che sta dentro un ambiente collaborativo vero.
La nuova frontiera, dunque, è rendere il lavoro sempre più asincrono. Ed è complicato perché siamo abituati ad alzare il telefono o chiamare e a trovare subito l’altra persona. Ma non è la più efficace in molte situazioni. Questo passaggio richiede un’educazione, una determinazione e una capacità di adattare il nostro modo di lavorare molto forte. È questa è la sfida. Non è una questione di andare in video 12 ore al giorno, perché questo crea stress.
Voi, quali soluzioni avete adottato?
Innanzitutto, c’è uno strumento giusto per esigenza giusta: noi abbiamo classificato ogni strumento in una scala che si basa sul rapporto tra urgenza e invasività. Lo strumento meno impattante è la mail, un messaggio whatsapp, invece, è più invasivo perché ruba attenzione, e l’attenzione è la risorsa più scarsa che esiste, più del tempo. L’attenzione è stata il grande malato di questa vicenda, perché con lo scopo di rimanere in contatto più possibile, abbiamo creato un grande rumore di fondo, che ha offuscato l’attenzione sulle cose veramente urgenti e veramente importanti. La logica dell’urgenza e dell’invasività e la necessaria gestione asincrona del flusso di conversazione ci ha portato ad abbattere le riunioni inutili, ad andare oltre i “Corridor Warriors” virtuali la cui frase classica è “devo staccare perché ho un’altra riunione”.
Dobbiamo usare la tecnologia per ripensare il lavoro, facendo leva sull’intelligenza che connette tutte le organizzazioni. Noi continuiamo a ragionare in quell’ottica, perché questa ibridazione sarà sempre presente. Ci sono tonnellate di paper online, ma questo problema non è risolvibile con quattro mosse da manualetto. Serve tanta pratica, tanta sperimentazione, una visione, e un certo tipo di disciplina. Noi ci siamo dati questa disciplina. In fondo, se il tema prima era l’emergenza, adesso è l’evoluzione.
Alcuni dei temi citati nell’intervista sono stati sviluppati da Roberto Battaglia in un libro di recente pubblicazione dal titolo “Startupper in Azienda” – Egea editore.
Testo di Gabriele Masi.