
Come ritornare dalla sopravvivenza temporanea a riprogettare a lungo termine? È stato questo il principale tema trasversale dell’edizione 2020 del Forum Risorse Umane organizzato da For#uman Relations. Le tre giornate hanno raccolto diverse esperienze e idee soprattutto sulla Exit Strategy dallo “smartworking emergenziale” da corona virus, su tre ambiti principali: Training & Recruiting, Welfare & Wellbeing e Digital & Innovation. Facciamo qui un riassunto degli spunti più interessanti per la nostra rubrica WOWbinar.
Cultura: dal controllo al riconoscimento.
Gli anni ’20 saranno gli anni della cultura in azienda come fonte di business e produttività.
Una cultura basata sul creare un tessuto relazionale in cui ogni individuo possa raggiungere un senso di appagamento (fulfillment) e di scopo.
Una cultura aziendale, cioè, che sia in grado di passare dal controllo al riconoscimento, nel duplice senso di “riconoscere il valore e i bisogni” e di capacità del middle management di “riconoscere i meccanismi che generano la sofferenza emotiva dei dipendenti”.
Se sono diversi anni ormai che si parla di fiducia in azienda, la cultura del controllo è però stata messa in crisi dalla rottura delle ritualità lavorative: dal mondo prevedibile e abitudinario a cui eravamo abituati, siamo passati attraverso una improvvisa crisi a dover ripensare e ridichiarare “cosa facciamo, e come e perché lo facciamo”.
Inoltre, la tecnologia ha mostrato la sua ambiguità nell’essere uno strumento fondamentale per la resilienza delle aziende e per la flessibilità organizzativa, ma ha anche mostrato come possa essere un nuovo strumento di controllo.
Per questo in alcune realtà, come Coca Cola, si sono dotate di un vero e proprio “galateo dello smartworking” che prevedeva, per esempio, un’ora e mezzo di pausa pranzo senza call né mail (in quanto i genitori avevano i figli a casa da scuola e dovevano preparare loro il pranzo), niente call dopo le 18 e niente mail dopo le 20.
Infine, il distacco da totem di aggregazione come le macchinette del caffè, non hanno fatto solo danni, ma hanno generato anche nuove possibilità: sentirsi via chat ha fatto sorgere un modello di comunicazione in cui parlavamo anche più apertamente ai nostri colleghi della nostra vita privata. Non solo le barriere tra home e office si sono sgretolate dal punto di vista lavorativo e organizzativo, ma anche dal punto di vista personale: questo è un fattore importante per rispondere alla domanda cosa sarà il work-life balance post-pandemico?
Nuovi bisogni e nuove possibilità di scelta.
L’emergenza del covid-19, ha aperto anche nuove prospettive ed esigenze per la “duty of care” aziendale. Innanzitutto, il remote working massivo ha avuto un impatto psicologico spesso molto pesante, ma soprattutto ha messo il luce nuovi bisogni e differenze all’interno della popolazione aziendale: c’è chi, per la propria mansione, può e chi non può fare smartworking; chi vive in un appartamento di 50metri quadri e chi in uno di 150; chi ha dei figli piccoli e chi no; c’è chi è stato completamente sommerso dall’isolamento e dal carico lavorativo e chi è riuscito ad affrontare la situazione più serenamente.
Dall’altra parte, l’exit strategy da questa esperienza non può che essere basata su una maggiore capacità auto-organizzativa dei dipendenti, che va aiutata e stimolata, ma soprattutto formata. Inoltre, l’ufficio diventerà una scelta e gli spazi dovranno essere riprogettati per fornire esperienze e soluzioni che non siano fornite anche del digitale. La domanda dunque per le risorse umane è: come alleno la leadership diffusa non solo nei manager, ma anche in tutti i dipendenti?
Verso il post-emergenza: uno sguardo al 2021.
Lo “smartworking emergenziale” (che di smart spesso aveva molto poco) è stato permesso dal congelamento della legge 81/2017.
La legislazione e gli accordi post-emergenza se dovranno sempre mettere al centro la libera scelta del dipendete di dove e quando lavorare, dovranno, però, approfondire due aspetti.
Il primo è definire dove il lavoratore non può lavorare, e non solo per una questione sanitaria, ma anche per il diritto dell’azienda di tutelare i principi di riservatezza e integrità del patrimonio aziendale, legati anche al grande tema della cybersecurity.
Il secondo è legato ancora alla difficoltà di adottare strumenti per misurare la performance, in un modo, però, da non tradire la fiducia che è alla base dello smartworking stesso.
Ciò che è stato sperimentato in termini emergenziali, quindi, deve ora essere messo a fatto comune, cercando accordi e una legislazione più improntata alla monitorizzazione degli obiettivi.
Infine, due ombre:
– Cosa accadrà, anche a livello organizzativo, quando finirà il blocco dei licenziamenti imposto dal governo?
– Che impatto avranno le politiche di riduzione dei costi che le aziende prevedibilmente adotteranno?
Insieme alla gestione del lavoro ibrido, questi due temi si prospettano come grandi sfide per l’HR management del 2021.
Testo di Gabriele Masi.