L’atmosfera vitale e caotica del mercato, luogo di cultura, di scambio economico e soprattutto di relazioni è l’ispirazione per Bahlara, la trasgressiva collezione di arredo per ufficio disegnata da Egidio Panzera per Faram 1957 e presentata ieri a Milano con un mega-evento preceduto da un talk e concluso con uno street food made in Sicily.
Un’affascinate collezione di arredo che trasgredisce i consueti schemi rigidi del sistema per ufficio e propone come elementi chiave il disordine, la discontinuità, la riconfigurabilità totale che ogni giorno prendono vita nei mercati di strada.
Al famoso mercato siciliano si ispira anche il nome: Balhara è l’appellativo originale in arabo di Ballaró, spiega il designer Panzera.
Proprio come i mercati di tutto il mondo, i nuovi workplace, figli dello smart working, sono generati dal nomadismo, dalla imprevedibilità, dal caos.
E Bahlara vuole interpretare il caos e l’imprevedibilità senza la presunzione di portare l’ordine nell’ufficio, ma con l’intento di favorire e innescare relazioni, vero senso di esistere del workplace.
Si configura come un sistema estremamente articolato basato su una struttura in tubo metallico con i suoi giunti (nobilitazione e attualizzazione del mitico Tubo Innocenti) che permette di creare workstation-bancarelle, chioschi con tettoia, cannicciata, pergola, tenda come copertura.
Il tutto corredato da un’infinità di elementi: scrivanie, divani, schermi fonoassorbenti, tavoli di varie forme e altezze.
La personalizzazione è ai massimi livelli: gli architetti possono customizzare il proprio ufficio-mercato con materiali di finitura, coperture, tessuti. E anche gli utenti possono facilmente intervenire per adattare le composizioni in base ale esigenze.
“Quello che presentiamo qui sono solo suggestioni, non esistono formule predefinite” spiega Panzera.
A Orgatec avevamo già riscontrato la prepotente presenza del tessile nel workspace e la tendenza emergente degli arredi che evolvono in micro-architetture per interni. Avevamo segnalato tra i più innovativi Buzzi Bracks di Allen Gilles per Buzzi Space con le tende morbide dei suoi no-boundaries e Fusion di Bennett/Sakura per CUF Milano con il suo gazebo coperto da tessuto a righe.
Con Bahlara questi design trend sono portati all’ennesima potenza grazie alla totale riconfigurabilità.
La sua forza è anche nel sapere integrare con estrema eleganza materiali grezzi dell’arredo urbano (i basamenti di cemento e i vasi dei fiori appesi alle ringhiere) e degli oggetti quotidiani più umili (i tappi di sughero, le canne di bambù, le tende sgualcite, drappeggiate o penzolanti).
L’estetica del caos è fatta di questi dettagli, di inusuali accostamenti cromatici, e della incredibile gamma di accessori, anche se non mancano -come è giusto che sia- componenti più “tecnologici” come gli schermi fonoassorbenti, i cablaggi, le scrivanie sit-stand (con meccanismi elettrificati Linak) .
Dopo il talk, con la partecipazione del mitico Marc Augè (che ha esposto i noti concetti sui nonluoghi), del coinvolgente astronauta Paolo Nespoli e del brillante Mariano Corso che ha ha ricondotto al workplace le grandi visioni di Spazio, il ripario si è aperto ed è stato possibile entrare all’interno del grande ufficio-mercato allestito in Area 56.
La vera “esperienza immersiva” non è stata quella artificiosa con la maschera 3D, ma entrare nel labirinto di quelle configurazioni, muoversi tra workstation di ogni forma e dimensione, sorprenderci -proprio come succede al mercato- per la varietà della “merce” esposta, vedere come le persone si appropriavano in tanti modi diversi e spontanei di divani, tavoli, pergolati trovandosi a proprio agio.
Qualche perplessità, anche raccogliendo i commenti di alcuni degli architetti presenti:
Quante aziende sono “culturalmente” pronte per realizzare un headquarters sul concetto di “disordine” che mette sempre tanta paura ai manager?
Questa ricchezza di segni, forme, colori non sarà un elemento che ci stancherà?
Riuscirà Bahlara a diventare un masterpiece, a imporsi come un nuovo archetipo per l’ufficio oppure è destinato semplicemente a invecchiare?
Testo di Renata Sias