
In questo terzo articolo della rubrica Felicità nel Workplace, scritto da Daniela Di Ciaccio di 2BHappy Agency, sono evidenziate alcune tra le domande più frequenti che si pone non solo chi vuole intraprendere il percorso del cambiamento verso l’organizzazione positiva in azienda, ma anche chi intuisce che i modelli organizzativi di riferimento non sono più adatti a guidarci e a gestire la complessità del cambiamento.
Le risposte ai quesiti offrono la fotografia della situazione attuale, analizzano i modelli organizzativi tradizionali e propongono possibili modelli positivi.
Ciò che emerge con evidenza è che la cultura della felicità e della positività è una priorità strategica per le organizzazioni.
Siamo sicuri che i modelli organizzativi sui quali abbiamo costruito il mondo del lavoro siano gli unici possibili, i più adeguati a gestire la complessità e a garantirci l’evoluzione?
Se osserviamo la realtà attraverso la lente delle più famose indagini globali, i dati sull’engagement non sono proprio confortanti:
Secondo Gallup l’87% dei dipendenti è demotivato, con una perdita di produttività di 500 miliardi.
In Italia, nella fascia over 50, solo il 31% si sente valorizzato e “attivo”. Il resto si definisce in “difficoltà” (46%) o “smarrito” (+ 23%): Ricerca Valore D e Università Cattolica.
La Harvard Medical School ha indicato che il 96% dei leader sperimenta il burnout.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato che la depressione è la principale causa di disabilità in tutto il mondo e nel 2020 sarà la seconda malattia con cui il Mondo farà i conti.
In Europa, 40 milioni di lavoratori soffrono di “stress da lavoro correlato” e sempre in Europa 84 milioni di persone soffrono di depressione, disturbi d’ansia, dipendenza da alcol e droga: Fonte Sole 24Ore.
Gallup misura e una perdita di produttività di 500 miliardi, dunque la mancanza di engagement ha anche risvolti economici?
Tutte queste tendenze sono direttamente collegate al basso livello di coinvolgimento dei dipendenti che, a sua volta, si traduce in:
– perdita di entrate del 32,7%;
– 37% in più di assenteismo;
– 49% in più di incidenti sul posto di lavoro
Perché accade questo? C’è una soluzione alla crisi dell’engagement?
La buona notizia è che oggi sappiamo da dove derivano questi numeri negativi e come possiamo fare per invertire la rotta, grazie ad una lunga serie di scoperte scientifiche, ricerche e applicazioni sul campo che ci consentono di osservare la realtà attraverso un’altra lente, quella del paradigma della Positività.
Le Organizzazioni Positive esistono e sono oggi un dato di fatto, anche in Italia. Le evidenze e gli studi sul campo in materia stanno dimostrando che questo tipo di organizzazioni è in grado di ottenere risultati superiori alle aspettative:
+300% capacità di innovare (HBR)
+44% impatto sulla retention (Gallup)
+37% aumento delle vendite (S. Achor)
+31% aumento della produttività (S. Achor)
Cosa sono le Organizzazioni Positive e in cosa si differenziano da quelle “convenzionali”?
L’Organizzazione Positiva è un luogo in cui le persone fioriscono in relazione con altre e ottengono risultati individuali e collettivi che hanno senso e superano le aspettative.
Non si tratta di uno specifico modello organizzativo ma un modo di concepire le persone e le organizzazioni, un modello “culturale”, in grado di generare risultati diversi e con il segno + diversi sono i principi scientifici e modelli mentali a cui si fa riferimento e che sono quelli offerti dalla Scienza della Felicità.
Ad esempio, per decenni abbiamo creduto, e molte aziende ne sono ancora convinte, che performance, produttività e successo dipendano da una cultura basata sulla forte pressione, sul drenaggio e lo sfruttamento massimo delle energie delle persone, sulla competizione, la concorrenza e i benefits di tipo economico o materiale.
Sono comportamenti e modalità operative che derivano da tre principali credenze, o “modelli copia-incolla” che la Scienza della Felicità ha dimostrato essere errati e non più funzionali ai nostri tempi e sono: prima il dovere e poi il piacere, vince il più forte, non conta chi sei ma cosa hai o cosa fai. (fonte: D. Di Ciaccio e V. Gennari, La Scienza delle Organizzazioni Positive. Franco Angeli, 2018).
Modello mentale #1. Prima il dovere e poi il piacere.
E’ la convinzione che sotto sforzo o tensione costante produciamo di più e raggiungiamo meglio gli obiettivi e gratificazione, successo e felicità vengano dopo lo sforzo.
La Scienza della Felicità ha dimostrato che sotto tensione, sforzo e pressione costante il nostro organismo produce “cortisolo”, il famoso ormone dello stress che restringe la nostra visione e ci rende quindi meno capaci di individuare le alternative e risolvere i problemi, meno aperti all’ascolto e creativi, e ovviamente danneggia anche la nostra salute.
Le Organizzazioni Positive e i leader che le guidano disegnano luoghi di lavoro, mettono in atto comportamenti e implementano processi che favoriscono una chimica positiva, rileggendo ad esempio i processi nell’ottica dell’autonomia, del fun e del coinvolgimento, curando la bellezza degli spazi, comunicando in modo gentile, esprimendo apprezzamenti..
Modello mentale #2. Vince il più forte.
E’ la credenza che si esplicita nei famosi modi di dire: la vita è una giungla, mors tua vita mea, la convinzione cioè che per sopravvivere ed evolverci dobbiamo combattere e difenderci dagli altri.
Grazie alla Scienza della Felicità oggi sappiamo invece che la nostra natura è profondamente sociale e che la cooperazione costituisce un vantaggio evolutivo.
Si chiama capitale sociale ed è la nostra capacità di costruire relazioni solide e di fiducia nel tempo. Dal capitale sociale dipendono l’espressione del potenziale, il benessere emotivo, la salute del sistema immunitario e neuroendocrino, la resilienza, la capacità di affrontare stress e depressione.
Nelle Organizzazioni Positive s’incentiva quindi la cultura del “Noi” e i leader che le guidano creano le condizioni per favorire e premiare comportamenti orientati alla cooperazione, al coinvolgimento, al supporto e all’ascolto.
Modello mentale #3. Non conta chi sei ma cosa hai o cosa fai.
E’ la convinzione che successo, carriera, felicità e auto-realizzazione dipendano dal ruolo, dai benefits, dal ricoprire posizioni di potere e privilegio e dalla quantità di tempo speso a fare cose o ad accumulare competenze e conoscenze.
In Italia ad esempio dedichiamo circa 20 mila ore allo studio – prima di frequentare l’università – ma nemmeno un’ora è dedicata a conoscere, capire e gestire se stessi.
E’ il modello dello “human doing” che ha sacrificato l’Essere e il suo sviluppo in tutta la sua pienezza di bisogni, valori, talenti, emozioni, energia, senso, dimensioni che la Scienza della Felicità ha dimostrato essere fortemente correlate a felicità, salute, motivazione e coinvolgimento.
Solo nel 2018 la Harvard Business Review ha dedicato all’auto-consapevolezza ben sette articoli e in uno di questi, conoscere se stessi risulta essere anche più efficace di un MBA nel predire il successo di un leader.
Le Organizzazioni Positive e i leader che le guidano sanno che le organizzazioni non sono macchine composte da parti separate e che le persone non sono ingranaggi da manipolare, controllare, contare, spostare.. Creano dunque le condizioni affinché tutti i collaboratori possano fiorire come esseri umani e realizzare pienamente il proprio potenziale.
Come si diventa un’Organizzazione Positiva?
Diventare un’ Organizzazione Positiva significa intraprendere un processo di cambiamento culturale che richiede pazienza, tempo e voglia di mettersi in discussione – soprattuto da parte dei leader – ma è un percorso possibile, oggi facilitato anche dalla sempre maggiore diffusione di professionisti specializzati e competenti, come il Chief Happiness Officer, il cui scopo è proprio quello di fare in modo che in ogni luogo di lavoro la cultura della felicità e della positività diventi una priorità strategica, per il benessere e la sostenibilità delle persone e dell’azienda.
Testo di Daniela Di Ciaccio, co-fondatrice di 2BHappy Agency.