
L’intelligenza emotiva è un elemento fondamentale per creare un engagement sostenibile, che bilancia assorbimento lavorativo, dedizione emozione e coinvolgimento energetico del dipendente, andando oltre il concetto di felicità e prevenendo il rischio di burnout.
Questo è quanto emerso dalla conferenza “Felici, ma non coinvolti?” tenutasi all’FM Day 2018 di IFMA a Milano. Cosa vuol dire favorire e far crescere l’intelligenza emotiva? Dare importanza alle soft skill, a un ambiente favorevole per espressione emotiva e basato sulla experience design.
Tratto personale + fattori situazionali = assorbimento lavorativo, dedizione emozionale e coinvolgimento energetico. Questa è la formula dell’employee engagement secondo Alessandra Mazzei, fondatrice del Working Group Employee Communication (OERC) dell’Università IULM, che ha moderato la conferenza “Felici ma non coinvolti?”.
Engagement e disengagement
La ricerca OERC ha sottolineato come i maggiori fattori che sostengono l’engagement siano tre: relazioni inclusive di ogni componente aziendale coi collaboratori, una giustizia organizzativa equa e una gestione delle risorse umane basata sulla valorizzazione. Anche alcune pratiche manageriali sono importanti come il favorire incontri informali con il top management, lo smart working e il diversity management.
Fattori di disengagement risultano invece legati all’incoerenza tra ciò che l’azienda dice e ciò che fa, all’arroganza dei manager, all’errore come colpa e alla burocrazia.
Da ricordare anche la rilevanza di aspetti quotidiani come il decoro e la pulizia, la qualità degli arredi, della tecnologia e dei sistemi di gestione di temperatura e illuminazione dello spazio.
Cosa vuol dire favorire e far crescere l’intelligenza emotiva?
Alexis Lerouge, Facility Manager di Sodexo, ha suggerito un approccio basato su tre aspetti:
– La valorizzazione delle soft skills, come la capacità di team working, la gestione dei conflitti, l’autoconsapevolezza e l’autogestione.
– La costruzione di un ambiente favorevole per l’espressione emotiva, considerando fondamentali aspetti come la vitalità, il divertimento, il riconoscimento e prestigio, l’appartenenza e i legami.
– L’experience design, ovvero il favorire l’appropriazione dello spazio e dello sviluppo di relazioni sociali e collaborazione. Il design deve partire perciò dal lavoratore stesso, considerando due aspetti: i valori in cui loro credono (ma anche che l’azienda vuole esprimere, come ha sottolineato Lorenzo Maresca, country manager Sedus) e i loro comportamenti e movimenti reali all’interno dello spazio.
Il percepito è più vero della realtà.
Le ricerche nell’ambito delle neuroscienze rendono sempre più chiaro il fatto la necessita di facility management che si occupino delle emozioni e che siano “portatori di scintille”, come ha detto Massimiliano Ghini, direttore di MgmtLab.
Lo spazio diventa così un elemento fondamentale e un acceleratore del cambiamento determinante. “La sfida più importante delle aziende è riuscire a fare lavorare insieme le generazioni, in un modo non programmato e non formale: quello che noi chiamiamo crossroads”, ha concluso Lorenzo Maresca.
“Lo spazio, inoltre, deve riflettere chi sei e deve esprimere i valori che vuoi trasmettere. L’innovazione nasce dagli spazi ibridi. Inoltre, la parte che manca in Italia è una nuova cultura di leadership: da qui è nato il concetto di leadershift su cui Sedus ha elaborato la sua ultima ricerca”.
Testo di Gabriele Masi.