Parlare della biofilia al di là della moda del momento. È stato questo lo spunto del Tea Time Party “Progettazione sostenibile e design biofilico” organizzato in collaborazione con Interface lo scorso 23 giugno. Se la biofilia è una caratteristica innata (seppur a gradi diversi per ogni individuo) questa non deve diventare una forzatura, né essere ridotta all’introduzione di alcune piante nell’ambiente ufficio.
La biofilia è molto di più del verde e delle piante che stanno riempiendo ormai i nostri uffici. Come ha sottolineato Bettina Bolten, Biophilic Design Consultant, essa riguarda l’aria, la luce, l’acqua, i suoni, gli odori, e anche la capacità di creare soluzioni architettoniche che vanno oltre la monotonia e favoriscono la curiosità.
Riguarda, ancora, per esempio, la biomimesi, cioè l’imitazione della natura, ricordata da Filippo Saba (Interface) nelle collezioni lanciate dall’azienda sul mercato nel 2000: “I prodotti a posa random erano collezioni che traevano ispirazione da come la natura progetta un pavimento, mettendo in discussione il “sequenziale e ripetitivo” che era tipico della pavimentazione per ufficio”.
Un altro esempio di collezione ispirata alla biofilia è stata Human Collection del 2013. Un esempio applicativo è stato raccontato da Flavia Aprilini, concept design Interface: la pavimentazione tessile disegnata per il Palazzo Rosselmini di Pisa, anche per risolvere il problema acustico di un palazzo settecentesco.
La biofilia è anche e soprattutto rispettare la natura e lo spazio in cui ci troviamo ad operare, principi che, come ha ricordato Paolo Mantero (Paolo Mantero Associati) sono sempre stati alla base della buona progettazione, ma che dopo gli anni ’50 ci sono sembrati dimenticati. Un rispetto che va cercato nel saper guidare il committente verso delle scelte non solo dettate dalla moda, ma anche dalle sue esigenze, come ha affermato Nicola di Troia (WIP Architetti), nel fare interagire gli spazi interni con la natura che c’è già sul luogo.
Inoltre, come ha sottolineato Alessandro Rossi (Park Associati) un design biofilico può essere l’occasione di ripensare al significato di valore di un edificio, non solo in termini di resa al metro quadro, ma di valore sociale e ambientale, che oggi cominciano ad essere più importanti. In più, se da una parte non bisogna forzare l’utilizzo del verde, il materiale verde è un bel materiale, dunque non bisogna avere troppa paura di mettersi in scia alle mode.
Il sentimento biofilico che noi attiviamo in ufficio attraverso la luce, l’aria, i suoni, o le piante è dato da una natura addomesticata e addomesticabile: come ha sottolineato Gabriele Masi, se riempio l’ufficio di piante, ma poi ho paura che dietro si nasconda la “tigre” o che l’ambiente in cui vivo non sia sicuro, non si attivano le capacità di anti-stress della natura.
La biofilia, pertanto, è un sentimento che si basa sulla possibilità di prendersi cura di se stessi e/o di un altro essere vivente: i risultati maggiori in termini di benessere si raggiungono quando la fruizione del verde in azienda non è puramente passiva, ma interattiva, come nel caso degli orti verticali, o dell’agricoltura idroponica, o della possibilità di portare il proprio cane al lavoro.
La biofilia è dunque, come ha sottolineato Bettina Bolten, il presupposto per il nostro agire improntato alla sostenibilità, un agire basato sull’addomesticare la natura e l’ambiente, prendendosene però molta cura.
Testo di Gabriele Masi.
Slide dalla presentazione di Bettina Bolten.