
L’agenda degli incontri previsti presso la Piscina Cozzi di Milano, nella zona conferenze dell’Isola WOW! Lavoro Agile 2016, includeva anche il corso in collaborazione con l’Ordine Architetti di Milano “Progettare gli ambienti per lo Smart Working” per il quale sono stati riconosciuti ai partecipanti 2cfp dal CNAPPC. Di seguito una sintesi degli interventi introduttivi di Renata Sias e Fiorella Crespi con le presentazioni proiettate dai docenti. (vedi gli altri articoli dedicati agli speech di Alessandro Adamo e Pietro Fiorani).
Renata Sias, direttore di WOW! Webmagazine ha aperto i lavori con una “Introduzione alle tematiche dello smart working” sottolineando l’origine “agile” dell’ufficio; come dimostra la “bura” ancora viva nell’etimologia di molti termini legati al lavoro (burocratico, burocrazia, bureau, ecc.): un telo di stoffa che il mercante medioevale stendeva a fine giornata sul suo banco del mercato per contare il denaro e iniziare l’attività amministrativa.
Di quella agilità ben poco è rimasto nei secoli successivi, in particolare nell’era industriale, quando -come sottolineava Lewis Mumford- la standardizzazione, l’uniformità e il controllo diventavano le parole chiave nel mondo del lavoro e nell’ufficio che segue le logiche tayloristiche.
Anche nelle sue forme apparentemente più “mosse”, come nel caso del Burolanschaft, comunque inflessibilmente configurato come una catena di montaggio dell’informazione.
Solo alla fine degli anni ’70 Frank Duffy di DEGW inizia a parlare di nuove modalità di lavoro rese possibili dalle tecnologie e introduce la “variabile tempo” nel workplace.
Un concetto che getta le basi per gli studi di Stone e Lucchetti che nel 1984 per la prima volta parlano di Activity Based Office nell’articolo “Your Office is where You are” sulla Harward Business Review.
Una visione che sarà aggiornata dagli stessi autori nel 2002 con l’articolo “Our Office is where We are” che introduce il tema dell’ufficio collaborativo “Community Based Office”.
Il resto è attualità: l’ufficio di oggi è un luogo sociale di incontro, condivisione delle conoscenze e crescita collettiva e il progetto dello smart office si articola in modo integrato su 3 leve: spazi che vanno ottimizzati per varie modalità di lavoro, tecnologia smart e un management basato sulla fiducia e la felicità dei dipendenti.
Bricks, Bytes e Behaviours come sintetizza Philip Vanhoutte di Plantronics nel “The Smarter Working Manifesto”.
Workspace technology, leve tecnologiche e change management a supporto dello smart working.
Il tema delle leve a supporto dello smart working è stato approfondito da Fiorella Crespi, ricercatore School of Management POLIMI, direttore Osservatorio Smart Working che, dopo avere presentato alcuni significativi risultati della ricerca OSW 2015, è entrata nel merito dell’importanza di attivare iniziative coerenti su 4 diversi ambiti di applicazione:
Policy organizzative (flessibilità di orario, di luogo e di utilizzo di strumenti)
Tecnologie Digitali (in grado di supportare la Social Collaboration, accessibili, anche con possibilità di “bring your own device”)
Layout fisico ( deve rispondere a requisiti di differenziazione e riconfigurabilità, deve essere confortevole e in grado di integrare le tecnologie per permettere un utilizzo più efficace degli spazi);
Comportamenti e stili di leadership (devono creare senso di appartenenza, responsabilizzazione, flessibilità e attivare comportamenti che permettano il corretto utilizzo delle tecnologie).
Gli innegabili benefici dello smart working– sull’azienda, le persone e la società- hanno però un “lato oscuro” fatto in parte di difficoltà reali (necessità di maturità e disciplina personale), ma anche di falsi miti (…”non troverò una scrivania dove sedermi”) che possono rendere questo percorso lungo e complesso, come ha dimostrato il case study di Coca Cola raccontato da Pietro Fiorani.
renata-sias-smart-working-lavoro-agile-2016-wow-webmagazine
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