
Le barriere sembrano essere diventate l’oggetto del desiderio dell’epoca del workplace post-pandemico: schermi di plexiglass o di altri materiali sembrano destinati a riempire i nostri luoghi di lavoro, ristoranti e, in qualche idea bizzarra, persino le spiagge. La domanda da porsi non riguarda solo come e dove mettere le barriere, ma anche e soprattutto: cosa è una barriera? Che potenzialità, percorsi e visioni può suggerire?
Cosa potenzialmente potrebbe prendere l’attributo concettuale e pratico di barriera? Con un piccolo tocco di creatività, la risposta è aggiungere un piccolo trattino ( – ) che indica la natura assemblabile e mai definita del mondo che ci circonda: dal concetto di “barriera” dobbiamo spostarci a quello di “-barriera”.
Che cosa sono le barriere? In ottica spaziale possiamo rispondere che le barriere non sono solo degli impedimenti fisici al passaggio di qualcosa, ma anche e soprattutto occasioni per la creazione di nuovi percorsi. Due esempi, di cui abbiamo parlato durante il webinar organizzato lo scorso 23 aprile, da WOW! e CBRE e dedicato alle “Parole Chiave per il Workplace post pandemico” possono essere considerati spunti interessanti per comprendere quanto appena detto.

Torre Allianz e HQ Fastweb: due esempi.
Da una parte, la riprogrammazione degli spazi della Torre Allianz presentata Alessandro Adamo di DEGW, è un chiaro esempio di cosa intendiamo per l’attuale messa in pratica di “stress test dell’office building”: dalla compartimentazione dei piani alla creazione di zone filtro all’esterno dell’edificio come “pre-triage” ospedalieri, lo spazio deve dimostrarsi frazionabile, intrecciando apertura e sostenibilità, creando nuovi percorsi che permettano di attualizzare il layout a bolle utilizzato 30 anni fa.

Dall’altra, la risposta della sede Fastweb, presentata da Luciana De Laurentiis, è un chiaro esempio di come “l’aver sperimentato il vero smart working” prima dell’emergenza corona virus, abbia fornito all’azienda le risorse per rispondere a questa situazione inaspettata, soprattutto a livello tecnologico dimostrando come le app di desk sharing possano diventare non solo ottimi strumenti di collaborazione, ma anche disegnatrici e rivelatori di percorsi, così come le pareti mobili sono sempre state e continuano ad essere efficaci strumenti di rimodellamento dello spazio.
Aggiungere potenzialità agli oggetti esistenti.
Ciò che accomuna queste due risposte, però, è la capacità di estendere il concetto di plurifunzionalità dello spazio all’insieme di tutti i componenti dello spazio stesso: ogni arredo, ogni componente del building, così come ogni strumento o mezzo tecnologico si dimostra non come un oggetto definito e riducibile ad una sterile monofunzionalità, ma riconcettualizzabile, ritrasformabile e riassemblabile, capace cioè di assumere nuove potenzialità. Non si tratta di sostituire o aggiungere oggetti, ma di aggiungere potenziali qualità agli oggetti.
È questo che intendiamo domandandoci: cosa significa aggiungere la qualità “-barriera” agli oggetti già a nostra disposizione, ad esempio trasformando i desk in desk-barriera, i pannelli fonoassorbenti in pannelli-barriera fonoassorbenti, le piante in piante-barriera o gli smartphone in smartphone-barriera?
Si tratta di un modo di guardare la realtà che, come ho esposto durante il Webinar, consiste nel vedere le cose non come “matters of fact” (dati di fatto), ma come “matters of concern” (fonti di dibattito), recuperando l’etimologia dell’inglese “thing”: riunione.
Seconda questa visione, teorizzata dall’antropologo francese Bruno Latour, le cose sono riunioni già terminate, ma che possono essere riconvocate in qualsiasi momento, soprattutto in momenti di crisi: una sedia, ad esempio, è il risultato di una riunione che ha stabilito la funzione di quell’oggetto in quel determinato modo, ma, nel momento in cui ci abbiamo bisogno di “-barriere”, possiamo riconvocare la riunione che ha preso quella decisione per prendere un’altra decisione. Nel momento in cui affiorano i problemi, una risposta creativa è quella di riproblematizzare il mondo che ci circonda.
Un approccio creativo per evitare attributi statici.
Il vantaggio di questo approccio creativo è quello che “-barriera”, a differenza di “barriera”, non è un attributo statico che definisce una volta per tutte la funzione dell’oggetto, ma una potenzialità che ci permette di affrontare la situazione contingente senza “sconvolgere le nostre visioni”, o come ha detto Cino Zucchi – ancora durante il Webinar sul workplace dopo corona virus – di non ricadere nel ritardo di progettazione previsto nella “teoria della doccia del camping”: quel fenomeno per cui quando gli studenti di un campus aprono i rubinetti dell’acqua calda della doccia, ci vuole un po’ di tempo perché arrivi l’acqua calda alla doccia, ma una volta arrivata, a causa dell’esagerazione, la stessa acqua diventa troppo calda per essere utilizzata. E ciò vale anche nella progettazione di spazi ed arredi.
È quindi nella piccola, sottile, ma sostanziale differenza di un trattino, che bisogna cercare il passaggio dal concetto di flessibilità e resilienza a quello che abbiamo proposto di malleabilità e assemblabilità: non si tratta di creare uno spazio che possa “deformarsi” a seconda delle esigenze, ma di spazi e oggetti concettualmente e praticamente riassemblabili, spazi e oggetti potenzialmente altri, realtà multiple, capaci di essere “-barriere”, ma capaci anche subito dopo di essere qualunque altra cosa possiamo immaginare di mettere dopo quel trattino.
Testo di Gabriele Masi, PhD candidate in Cultural and Social Anthropology, University of Milan Bicocca.
Didascalie:
Foto in apertura: Caring System di Estel.
Eyeglasses Mask, design di Giulio Iacchetti. Visiera protettiva per chi porta gli occhiali. Potete scaricare il file esecutivo qui
