
“La ragione vi porterà da A a B. L’immaginazione vi porterà ovunque”. Da una serie di appunti custoditi in un cassettino di una scrivania anti-ergonomica di una postazione non-sharing di un noioso e mal illuminato ufficio brevetti, Einstein, autore di questo aforisma, immaginò le teorie che rivoluzionarono la nostra concezione dell’universo.
Oggi nei nostri spazi ergonomici e orientati al wellbeing psico-fisico, dobbiamo reinserire la componente umana dell’immaginazione per andare verso un visionary working basato su una flessibilità costante di ribaltamenti di regole e accettazione di sfide.
Tutti i grandi innovatori sono stati un po’ folli, come disse Steve Jobs nel suo famoso discorso alla Stanford University. Folli perché hanno immaginato qualcosa che andava al di là di ciò che vedevano attorno a sé.
Per il mondo ufficio questo decennio si chiude con una domanda a cui ancora non si è riusciti a dare una risposta soddisfacente: qual è il ruolo delle aziende nel costruire una società più felice e sostenibile? O in altri termini, qual è e cos’è la Corporate Social Responsibility?
In un contesto dove smart working è divenuto un concetto macedonia (o carne-trita), il secondo decennio del nuovo millennio ha visto il trionfo degli spazi in-between e condivisi, l’ingresso delle neuroscienze, del benessere psico-fisico e del benessere ambientale nel background teorico della progettazione e ovviamente l’avanzare inesorabile della tecnologia con il suo potenziale affascinante e i suoi problemi etico-sociali del controllo costante e del cambiamento delle competenze lavorative richieste.
Nonostante queste evoluzioni, in un mondo dove il futuro non è mai stato così in bilico tra la possibilità infinita e l’impossibilità catastrofica, restano ancora aperte diverse questioni: sentiamo che il nostro modo di concepire il lavoro e i suoi spazi non sia ancora perfettamente adatto per le nuove generazioni e che lo stress eccessivo non ci permette un pieno benessere, in un momento in cui la sindrome da burnout (complice anche il fatto che prima non veniva riconosciuta), sembra quasi sia lì lì per competere con la morbilità della peste del 1348.
Sentiamo anche che, nonostante la svolta green, la “lotta ai cambiamenti climatici” e per la sostenibilità ambientale sia, come dimostra Mission Zero e Climate Take Back di Interface, la vera sfida smart da affrontare con coraggio e idee nuove, fino a pensare edifici in grado di auto-decomporsi attraverso bombe ecologiche o a recuperare tecnologie aerospaziali che ci guidino in una quasi paradossale riscoperta della natura tramite una biofilia attiva mediata dalla tecnologia.
Infine in un mondo dove i big data e l’intelligenza artificiale stanno rivoluzionando qualsiasi cosa (vedasi il caso del HR in azienda), la domanda pressante diventa come riuscire ad inquadrare nell’ottica del management dell’organizzazione questa svolta tecnologica, dove termini come fiducia e produttività rischiano di entrare in cortocircuito.
Einstein chiamava quel piccolo scompartimento che rivoluzionò i concetti di spazio e tempo “il cassetto dei divertimenti”: era il suo gioco. Ed è attraverso il gioco che anche noi, negli ultimi anni, abbiamo cercato di riprogettare lo spazio e il tempo del lavoro, dal Lego Serious Play all’Awareness Toy.
Il gioco è, infatti, quell’evento in cui ci sentiamo abbastanza liberi per ristrutturare il nostro concetto di spazio e di tempo, il luogo in cui l’immaginazione di tutte le possibilità può diventare concreta, dove il “facciamo come se…” diventa la regola, dove il rischio esce per un attimo dalle logiche stringenti dei numeri (a cui poi dovrà necessariamente tornare, come in fisica) e diventa esplorazione umana del campo delle possibilità.
Viste queste premesse, il 2020 può essere l’anno di svolta per andare oltre lo smart working, (un lavoro pensato come efficientamento di un sistema già presente) verso un visionary working, basato su una flessibilità costante di ribaltamenti di regole e accettazione di sfide.
In fondo, un modo di lavorare che metta al centro la capacità di ciascuno di immaginare può davvero essere la chiave per risolvere le questioni che questo decennio di piccole-grandi rivoluzioni ci ha lasciato.
Editoriale di Gabriele Masi
Didascalie
Foto in alto: courtesy Pantone
Foto sotto: courtesy Ewa M. Pixabay
Classic Blue, Color of the Year 2020 Pantone. Un colore rilassante che invita alla riflessione, infonde calma e fiducia; mette in evidenza il nostro desiderio di una base affidabile da cui partire e favorisce la resilienza mentre ci apprestiamo a varcare la soglia di una nuova era.